Ora sarà la tua Banca a denunciarti al fisco

Cade il segreto bancario: dopo l’anagrafe dei conti arriva il Cartellino Fiscale, la targa gli istituti di credito riveleranno all’amministrazione fiscale tutte le informazioni relative a saldi, attività finanziarie, interessi, dividendi.

 Spiati a casa propria. Sono finiti i tempi in cui la banca era un alleato del proprio cliente e, una volta impartitole un ordine di pagamento o di accredito, eseguiva l’operazione nella massima segretezza per tutelare il correntista. Il segreto bancario è ormai un ricordo. In questo autunno peraltro c’è stata una vera e propria accelerazione su tutti i fronti del grimaldello che riduce i margini del segreto: lo scambio automatico di informazioni tra Stati. Le ultime norme e convenzioni internazionali hanno trasformato gli istituti di credito in veri e propri agenti segreti del fisco. La rivoluzione, partita esattamente un anno fa con l’Anagrafe dei conti correnti, si è appena evoluta con il Facta (l’accordo con gli USA per lo scambio di informazioni e dati sui soggetti a rischio evasione) e il Crs (Common Reporting Standard), un nuovissimo modello per lo scambio di informazioni tra i paesi dell’Ocse. Vediamo meglio di cosa si tratta, distinguendo a seconda che l’attività di “spionaggio” della banca sia fatta sui conti in Italia o all’estero.

In Italia

A partire dal 31 ottobre 2013, a tutte le banche è stato imposto di comunicare, in tempo reale, al maxi computer dell’Agenzia delle Entrate (cosiddetta “Anagrafe dei conti correnti”), ogni singolo dettaglio dei conti correnti del cittadino. Non solo, quindi, l’esistenza del rapporto in essere con la banca, ma anche le relative consistenze, il saldo annuale e ogni singolo movimento di prelievo versamento. Ed ancora la presenza di carte di debito o di credito, certificati di deposito, buoni fruttiferi, acquisti di oro e metalli preziosi, cassette di sicurezza.
Insomma, ogni operazione che i contribuenti faranno su un conto corrente bancario o postale sarà, lo stesso giorno, comunicata all’Amministrazione fiscale la quale, a sua volta, potrà utilizzarla in qualsiasi momento per effettuare controlli fiscali. Così, per esempio, nel caso di presentazione di Isee per verificare se le dichiarazioni del contribuente corrispondano a vero; o, ancora più frequentemente, nel caso di controllo della dichiarazione dei redditi che verrà confrontata con le disponibilità in conto, per il vaglio di compatibilità.
Soggetti tenuti a tali comunicazioni non sono solo gli istituti di credito, ma anche Poste Italiane, gli organismi di investimento e le società di gestione del risparmio.

Scambio di dati tra Stati

Nell’ultimo anno si sono moltiplicati gli accordi internazionali per il controllo globale dei conti correnti. Le prime scadenze delle banche sono quelle relative al cosiddetto FACTA, l’accordo con gli Usa per lo scambio di informazioni. Ad esso si affianca una disciplina molto stringente dell’Unione Europea, che pure di recente ha ricevuto un’ulteriore accelerazione. Lo scorso 14 ottobre infatti l’Ecofin ha raggiunto un accordo per la revisione di una direttiva del 2011 per allargare il raggio di azione della cooperazione internazionale tra gli stati.
Ma un’altra sigla importante per chi ha soldi all’estero, capace di far tremare anche gli evasori più smaliziati, è quella di Crs(Common reporting standard), il modello per lo scambio di informazioni tra gli stati a livello Ocse, per il quale sono già in pista di partenza 51 Stati (nel 2018 il numero salirà a circa 90).
In pratica, ad ogni correntista, nel biennio 2016-2017, verrà infatti attribuito il cosiddetto “Cartellino Fiscale”,una sorta di etichetta che lo renderà identificabile presso l’amministrazione finanziaria. E ad attribuire la targa saranno proprio gli intermediari finanziari come le banche, le finanziarie e le Poste.
A questi, infatti, sarà demandato il compito di trasmettere alle autorità fiscali nazionali tutte le informazioni relative a saldi di conto, contro valori di vendita delle attività finanziarie, interessi, dividendi e tutti i dati dell’investitore stesso sia persona fisica, sia persona giuridica, per tutti i rapporti in essere prima e dopo il 31 dicembre 2015. Il tutto anche al fine di individuare i capital gain sulle compravendite di attività finanziarie.
Non solo. Gli intermediari avranno anche il compito di effettuare una sorta di valutazione preventiva sulla qualità del correntista in modo che l’amministrazione finanziaria sia già in possesso di un bussola per orientare eventuali controlli.
Il Common reporting standard porrà definitivamente fine al segreto bancario. I suoi “segreti” sono stati illustrati, ieri, da David Pitaro, membro del dipartimento delle politiche fiscali per il Ministero dell’economia e delle finanze, nel corso del seminario per il Contrasto all’evasione fiscale che si è svolto presso la Commissione finanze della Camera.
Uno dei punti di forza del sistema è quello di essere standardizzato e, quindi, di essere in grado da un lato di intercettare un gran numero di redditi, di consistenze e di capitali infruttiferi, dall’altro lato di impedire agli investitori di nascondersi dietro i veicoli.
Il Crs entrerà a regime all’interno della legislazione europea a partire dal 1 gennaio 2016.

Residenze fiscali allo scoperto

È in arrivo la mappa delle residenze fiscali dei titolari di conti finanziari. Banche e intermediari finanziari saranno tenuti – in forza di un provvedimento di prossima emanazione – a raccogliere tutte le informazioni necessarie per far emergere la residenza fiscale dei contribuenti – sia persone fisiche che giuridiche – titolari di conti correnti.
Se dai risultati della verifica emergerà che il soggetto detiene la residenza fiscale in uno dei Paesi aderenti al Crs scatterà la condivisione automatica dei dati con l’Amministrazione finanziaria nazionale dell’intermediario. A quest’ultima spetterà il compito di condividere le informazioni ricevute con il fisco dello Stato di residenza dell’investitore.
 

Negoziazione Assistita – Diventà una realtà

Accordi tra le parti, procedura e fac-simile di convenzione.

Con la recente riforma della giustizia, è stata concessa alle parti la facoltà di (e quindi non l’obbligatorietà) di utilizzare “la convenzione di negoziazione assistita” prima dell’instaurazione di un procedimento civile. Sappiamo, invece, che, in alcuni casi, essa è invece obbligatoria e condizione di procedibilità dell’azione in tribunale. Tali casi sono tutte le controversie che concernono:

  • risarcimenti per sinistri stradali (più precisamente “per danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti)
  • richiesta di pagamento (a qualsiasi titolo) per somme fino a 50mila euro, salvo rientri in una delle materie per cui è obbligatoria la mediazione.

Al contrario, la negoziazione assistita facoltativa può avvenire in qualsiasi altra materia a condizione che:

  • riguardi diritti indisponibili
  • non riguardi materie per cui è prevista la mediazione obbligatoria;
  • non riguardi materia di lavoro.

Quanto alla procedura, essa necessita della firma di due diversi contratti:

1. La convenzione di negoziazione assistita vera e propria

Si tratta del contratto con cui le parti si impegnano a “cooperare in buona fede e con lealtà” per il possibile raggiungimento di un accordo. Deve essere necessariamente scritto (a pena di nullità). Con la convenzione di negoziazione assistita le parti si impegnano in un arco temporale ben definito (comunque scelto dalle stesse parti, seppur all’interno di un periodo che non deve essere inferiore al mese e superiore ai tre mesi) a lavorare insieme per il possibile raggiungimento di un accordo. La convenzione è conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati: e ciò a differenza di quanto avviene nella negoziazione assistita in materia di famiglia (per separazioni, divorzi o revisioni delle condizioni), dove invece è strettamente necessario un avvocato per parte. In verità su questo punto, la norma non è sufficientemente chiara; pertanto occorrerà attendere i successivi chiarimenti per fornire un’indicazione più precisa. Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale. Gli avvocati hanno il dovere deontologico di dare informazione al cliente, all’atto di conferimento dell’incarico, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita. L’avvocato certifica l’autografia della firma apposta dal proprio assistito anche nella procedura dell’invito a stipulare la convenzione.

2. L’accordo stesso che risolve la controversia (se raggiunto)

Tale accordo non deve necessariamente essere una transazione, in quanto non è detto che le parti si debbano fare reciproche concessioni e trovare, per così dire, un incontro “a metà”, ben potendo essere che i mediatori riconoscano la ragione solo a una delle due parti.
In caso di mancato accordo le parti non potranno utilizzare le informazioni ricevute nelle trattative ed eventualmente chiamare a testimoniare l’avvocato e/o gli avvocati che hanno partecipato alla procedura. L’avvocato sottoscrive l’accordo raggiunto dalle parti. Gli avvocati certificano l’autografia delle firme apposte nell’accordo nonché certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Il legale contravviene alle norme deontologiche se impugna un accordo alla cui redazione ha partecipato.Se non si raggiunge un’intesa tra le parti, gli avvocati certificano la dichiarazione di mancato accordo.

3. La procedura

A differenza di quanto avviene nella negoziazione assistita obbligatoria, l’invito che una parte rivolge all’altra a stipulare la negoziazione non sembra essere necessario, e ciò perché le sanzioni che conseguono alla mancata risposta o al rifiuto (tale comportamento, infatti, può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio) non avrebbero senso nella negoziazione facoltativa. Salvo tale precisazione, sembra non esserci ragioni per escludere l’uguaglianza, a livello procedurale, tra le due figure.

4. Effetti dell’accordo

L’accordo raggiunto dalle parti ha efficacia esecutiva al pari di una sentenza o degli altri titoli esecutivi. Quindi, in caso di inadempimento della controparte, non sarà necessario ricorrere al giudice al fine di ottenere una nuova sentenza utile per richiedere l’intervento dell’ufficiale giudiziario. L’accordo costituisce altresì titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Di fatto vi è una parificazione, quanto agli effetti, a quanto già stabilito con la mediazione.
All’accordo raggiunto non dovrà essere apposta la formula esecutiva.
Per la trascrizione invece nei pubblici registri dell’accordo, ovviamente nei casi in cui si può trascrivere un atto, serve l’autenticazione delle sottoscrizioni apposte sull’accordo da un pubblico ufficiale.

Parcheggio dei veicoli nel cortile: decide l'assemblea a maggioranza

Le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto di essere state approvate all’unanimità. Ne consegue che la clausola del regolamento condominiale, di natura contrattuale, che regola le condizioni delparcheggio dei veicoli dei condomini nel cortile del fabbricato, quale clausola che disciplina modalità di uso e godimento di un bene comune, può ben essere modificata dall’assemblea a maggioranza e non già all’unanimità. Questo il principio che può essere tratto da una recente decisione emessa dalla Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione (Cass. civ., Sent. 6 maggio 2014, n. 9681, Rel e Pres. Triola).
Il condomino Tizio impugna innanzi al giudice la delibera con la quale l’assemblea condominiale aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile del fabbricato con il sistema della rotazione. A sostegno della impugnazione, deduce che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, prevedeva che i veicoli dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni – e che di conseguenza non potevano parcheggiare in garage – avevano diritto di parcheggio in cortile con le seguenti priorità:

  1. macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni;
  2. macchine doppie;
  3. macchine triple.

In primo grado, il giudice annulla la delibera impugnata. Su appello di alcuni condomini, cui aderiva con appello incidentale in Condominio, la corte distrettuale accoglie le impugnazioni.
Tizio allora impugna con ricorso in cassazione la sentenza della corte d’appello. In particolare, il ricorrente, muovendo dal presupposto della natura “contrattuale” della norma contenuta nel regolamento, giunge a concludere che la stessa non avrebbe potuto essere modificata dall’assemblea se non con il consenso unanime dei condomini. Ma la tesi è smentita dalla Suprema Corte che ritiene infondato l’assunto. Infatti, osserva il giudice di legittimità, la corte del merito, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura “contrattuale” per il solo fatto di essere state approvate all’unanimità, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138, comma 1, cod. civ. E da ciò consegue, conclude la Cassazione, che la predetta clausola ben poteva essere modificata con la maggioranza assembleare prevista dal successivo terzo comma della citata norma.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile


Sentenza 6 maggio 2014, n. 9681
Integrale

Condominio – Disposizioni del regolamento condominiale che disciplina l’uso delle parti comuni – Natura contrattuale – Esclusione – Parcheggio insufficiente – Necessità di turnazione – Delibera assembleare che disciplina l’uso del cortile comune


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22759/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
CONDOMINIO VIA (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T. – P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2037/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, emessa il 07/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Presidente Rel. Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine, il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato l’8 gennaio 2002 (OMISSIS) impugnava davanti al Tribunale di Napoli la delibera assunta in data 7 dicembre 2001 dal condominio di via (OMISSIS), in Napoli, di cui faceva parte, e che aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile col sistema della rotazione.
In particolare deduceva che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, all’articolo 8 prevedeva che le macchine dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni e che non potevano quindi parcheggiare in garage, avevano diritto di parcheggio in cortile, con le seguenti priorita’: 1) macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni; 2) macchine doppie; 3) macchine triple.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 26 settembre 1996, passata in giudicato, aveva annullato una precedente delibera dello stesso contenuto, per cui l’assemblea non avrebbe potuto disporre nello stesso senso.
Si costituivano i condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), chiedendo il rigetto della impugnazione.
In corso di causa si costituiva anche il condominio, contestando il fondamento della impugnazione.
Nel giudizio interveniva (OMISSIS), che, invece, aderiva alla impugnazione.
Con sentenza in data 17 maggio 2004 il Tribunale di Napoli annullava la delibera.
(OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) proponevano appello, al quale aderiva con appello incidentale il condominio.
Con sentenza in data 27 maggio 2008 la Corte di appello di Napoli accoglieva le impugnazioni.
Secondo i giudici di secondo grado, erroneamente il Tribunale di Napoli aveva ritenuto la natura contrattuale dell’articolo 8 del regolamento, con conseguente immodificabilita’ della disciplina dallo stesso prevista se non all’unanimita’, dal momento che tale disposizione disciplinava il godimento di una parte comune.
Da tale premessa derivava che il giudicato formatosi sulla precedente delibera valeva solo per la situazione di fatto esistente al momento in cui la stessa era stata assunta, ma non impediva una nuova deliberazione ove per il numero delle vetture interessate o per altre circostanze fosse diventato impossibile soddisfare il parcheggio di tutti nel cortile, con conseguente necessita’ di turnazione.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con tre motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e il Condominio in (OMISSIS), assistiti dallo stesso difensore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente insiste nell’invocare il giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Napoli in data 26 settembre 1996.
Il motivo e’ infondato.
Come chiarito dalla Corte di appello di Napoli il giudicato in questione era soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus, per cui non impediva la possibilita’ di una nuova delibera la quale disciplinasse il parcheggio nel cortile ove fossero mutate le condizioni esistenti all’epoca in cui la prima delibera era stata impugnata.
Con il secondo motivo il ricorrente, sul presupposto della natura contrattuale della clausola di cui all’articolo 8 del regolamento, ribadisce che la stessa non avrebbe potuto essere modificata se non con il consenso unanime dei condomini.
Il motivo e’ infondato.
La Corte di appello, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto che siano state approvate all’unanimita’, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’articolo 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che anche volendo ammettere che il precedente giudicato non costituiva causa ostativa alla assunzione di una delibera che disciplinasse l’uso del parcheggio nel cortile comune, la Corte di appello avrebbe dovuto comunque indicare quali erano le mutate condizioni che rendevano legittima la nuova delibera.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto introduce una questione che non ha costituito oggetto del giudizio nelle fasi di merito, avendo l’attuale ricorrente, a quanto si ricava dalla sentenza impugnata, invocato sempre e soltanto la natura contrattuale del regolamento e il precedente giudicato, senza mai, neppure in via subordinata, dedurre che comunque la delibera impugnata si basava su presupposti di fatto in realta’ non esistenti.
In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, con liquidazione unitaria in favore dei controricorrenti, in quanto assisiti dallo stesso difensore, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella complessiva somma di euro 2.200,00, di cui euro 200 per esborsi.

Approvazione e Revisione delle Tabelle Millesimali

PER APPROVAZIONE E REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI NON SERVE L’UNANIMITA’
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 18 dicembre 2013 – 26 febbraio 2014, n. 4569
(Presidente Oddo – Relatore Manna)

Svolgimento del processo

M.P., usufruttuaria di un appartamento del condominio Palazzo Camera, via G. Amato, 10, Minori, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Amalfi su ricorso del condominio stesso per il pagamento della somma di € 729,76 per residui oneri condominiali relativi agli anni 2000-2001. A sostegno dell’opposizione deduceva la carenza di legittimazione processuale dell’amministratore, in quanto cessato dalla carica all’epoca di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo; la mancata approvazione del rendiconto consuntivo del 2000 e la genericità di quello del 2001; l’illegittima ripartizione delle spese perché operata sulla base di tabelle millesimali mai approvate da tutti i condomini e diverse da quelle di cui al regolamento contrattuale formato nel 1996 all’atto di costituzione del condominio; nonché la riferibilità esclusiva delle spese stesse al solo nudo proprietario, in quanto derivanti da interventi di manutenzione straordinaria dell’edificio.
Il condominio resisteva in giudizio.
Il giudice di pace rigettava l’opposizione, con sentenza confermata dal Tribunale di Salerno in funzione di giudice d’appello.
Quest’ultimo osservava, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che l’assemblea del condominio con deliberazione del 2.1.1999 aveva adottato, con il consenso unanime di tutti i condomini presenti, tra cui la stessa P., e a maggioranza dei partecipanti al condominio, i nuovi coefficienti di ripartizione delle spese da utilizzarsi ai fini della redazione delle nuove tabelle millesimali, le quali, predisposte secondo le indicazioni delle citata delibera, erano state poi approvate, all’unanimità dei presenti, dall’assemblea del 4.12.1999. La P., proseguiva il Tribunale, non aveva partecipato a quest’ultima assemblea, ma il 3.1.2000 aveva avuto piena cognizione del contenuto della relativa deliberazione, apponendovi in calce la propria firma per accettazione. Pertanto, con la sottoscrizione apposta sia dalla P., sia dagli altri condomini che non avevano partecipato all’assemblea, il requisito di forma necessario per la modifica della tabella doveva ritenersi assolto.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.P., in base a tre motivi illustrati successivamente da memoria.
Resiste il condominio con controricorso.
Concesso termine all’amministratore del condominio per produrre l’autorizzazione dell’assemblea condominiale alla proposizione del controricorso, non risulta effettuato alcun deposito.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1325 e 1346 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che il verbale dell’assemblea del 4.12.1999 non riporta, ma si limita a richiamare, le tabelle predisposte dall’ing. C.C. secondo quanto dettato dall’assemblea del condominio in data 2.1.1999. Ne deriva che l’oggetto, requisito essenziale ai sensi dell’art. 1325 c.c., è indeterminato e incerto, con la conseguente invalidità della delibera.
Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., applicabile catione temporis alla fattispecie: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che il verbale del 4.12.1999 è invalido perché, non riportando le nuove tabelle, l’oggetto non è stato determinato né è determinabile”.
1.1. – Il motivo è infondato.
E’ pacifico sia in dottrina che nella giurisprudenza di questa Corte che il requisito di determinazione dell’oggetto di cui all’art. 1346 c.c., applicabile anche agli atti unilaterale in base all’art. 1324 c.c., può essere soddisfatto anche per relationem, cioè attraverso una relatio di tipo sostanziale ad altri atti delle stesse parti o di terzi, purché il rinvio riguardi elementi prestabiliti ed aventi una preordinata rilevanza obiettiva (cfr. ex pluribus Cass. n. 534/79).
Tale è, ad evidenza, il caso di specie, in cui il verbale dell’assemblea condominiale del 4.12.1999, in cui furono approvate le nuove tabelle millesimali, richiama, senza per questo trascriverle, le nuove tabelle già predisposte in base a quanto precedentemente stabilito dalla stessa assemblea il 2.1.1999. Non occorreva, pertanto, riprodurre pedissequamente dette tabelle nel verbale del 4.12.1999 per integrare il requisito di cui all’art. 1346 c.c.
2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1136, 1138, 1350, 1362, 1372 c.c. e 69 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Il Tribunale, si sostiene, ha richiamato il principio per cui le tabelle millesimali non possono essere modificate se non per iscritto e con il consenso di tutti i condomini, ma in realtà non ne ha fatto applicazione, perché i condomini assenti erano sei, mentre quelli che firmarono per accettazione la delibera del 4.12.1999 furono solo cinque.
Segue il quesito: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che le cosiddette nuove tabelle non sono state validamente approvate col consenso unanime, ed espresso in forma scritta ad substantiam, da tutti i partecipanti alla comunione”.
3. – Il terzo motivo ripropone la medesima doglianza del secondo mezzo, ma sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
La sentenza impugnata, deduce la ricorrente, non solo non chiarisce donde abbia percepito il consenso unanime di tutti i condomini alla variazione delle tabelle millesimali, ma afferma apoditticamente essere intervenuto il consenso scritto di tutti i condomini, senza verificare se il verbale del 4.12.1999 sia stato sottoscritto da tutti gli intervenuti e se i sei condomini assenti abbiano espresso personalmente il proprio consenso circa la comunicazione del verbale del 3.1.2000.
Propone la seguente sintesi della censura: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che le tabelle allegate al regolamento condominiale contrattuale formato con atto pubblico e trascritto non sono state validamente modificate dalle nuove tabelle, in quanto non è stato espresso in forma scritta ad substantiam il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio”.
4. – Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per il loro complementare riferirsi a distinti profili della medesima questione, sono infondati.
Occorre considerare, infatti, il sopravvenuto nuovo indirizzo di questa Corte in materia, dovuto all’arresto n. 18477/10 delle S.U., in base al quale l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c. Infatti, la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, fonte che è costituita dalla legge stessa, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica.
4.1. – Ciò posto, ogni questione sull’adesione successiva di tutti e sei ovvero solo di cinque dei condomini assenti perde totalmente di rilievo, essendo sufficiente il raggiungimento – non controverso in causa – della sola prescritta maggioranza qualificata per l’adozione delle nuove tabelle.
5. – In conclusione il ricorso va respinto.
6. – Nulla per le spese, non essendosi validamente perfezionata la difesa del condominio a mezzo del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

I Balconi, Le Verande e Le Finestre

A cura dell’avv. Alessandro Gallucci
Tra le cose che, non di rado, generano discussioni in materia condominiale bisogna inserire i balconi, le finestre e le verande. È un dato pacifico che tutte queste strutture sono considerate di proprietà esclusiva, laddove di pertinenza di una singola unità immobiliare, tuttavia, la loro conformazione e determinate vicende (es. sostituzione, riparazione, ecc.) possono incidere su beni ed aspetti della vita comune.
La legge di riforma n. 220/2012, pur inserendo tra i beni comuni di cui all’art. 1117 c.c. espressamente le facciate, non ha previsto alcuna specifica novità in merito a balconi, verande o finestre, lasciando che sia la giurisprudenza a continuare a colmare il vuoto normativo.

I balconi aggettanti e incassati

I balconi sono propaggini di un appartamento ai quali si ha accesso per mezzo di una porta-finestra.
In linea di massima, si possono distinguere i balconi c.d. “aggettanti”, che sporgono rispetto alla facciata dello stabile, da quelli “incassati”, che, invece, formano una rientranza nella facciata dell’edificio e solitamente sono chiusi almeno su due lati. Quello dei balconi è un argomento che molto spesso genera contenzioso in ambito condominiale, in particolare, in ordine al regime di proprietà e alla conseguente ripartizione delle spese, nonchè all’utilizzo delle relative strutture.
La giurisprudenza è pacificamente orientata nel ritenere che per determinare l’assetto proprietario dei balconi occorre valutare la conformazione strutturale degli stessi. Secondo il consolidato indirizzo della Cassazione, i balconi aggettanti sono considerati beni di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento cui ineriscono, poiché costituiscono nella loro interezza una sorta di “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare (Cass. n. 14076/2003), mentre per i balconi incassati, la relativa soletta è di proprietà comune dei condomini dell’appartamento del piano superiore e di quello del piano inferiore, cui serve, rispettivamente, da piano di calpestio e da copertura (Cass. n. 15913/2007; n. 14576/2004). Per quanto concerne, infine, le decorazioni presenti su entrambe le tipologie di balconi, laddove in grado di incidere sul decoro architettonico, la giurisprudenza è unanime nel considerare che i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore (in particolare, i c.d. frontalini, le fasce marcapiano, i parapetti, ecc.), “svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, c.c.” (Cass. n. 568/2000; n. 14576/2004).
Le ripercussioni principali del regime di proprietà dei balconi e dei relativi elementi architettonici riguardano la ripartizione delle spese tra i condomini per gli interventi di manutenzione. Sulla scorta di quanto appena affermato, pertanto, nel caso di balcone aggettante le spese per la sua manutenzione saranno a carico del proprietario dell’appartamento del quale il balcone costituisce prolungamento, mentre le spese per gli elementi decorativi che costituiscono un carattere architettonico della facciata, dovranno porsi a carico di tutti i condomini (Cass. n.14076/2003; n. 637/2000; n. 176/86). Quanto agli usi consentiti, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che il proprietario dell’appartamento del piano inferiore rispetto al balcone aggettante non potrà utilizzare, senza il consenso del proprietario del balcone, la parte inferiore della soletta per agganciare tende da sole o altri elementi (cfr. Cass. 17 luglio 2007, n. 15913), mentre, di contro, avrà diritto al risarcimento per gli eventuali danni causati dal medesimo.
Nei balconi incassati, invece, essendo la soletta di proprietà comune tra i proprietari cui serve, rispettivamente, da piano di calpestio e copertura, il condomino del piano inferiore potrà fare tutti gli usi che ritiene utili e necessari nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 1102 c.c., mentre il criterio di ripartizione delle spese per la manutenzione e ricostruzione sarà quello di cui all’art. 1125 c.c., relativo ai soffitti, alle volte e ai solai, secondo il quale le stesse vanno “sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto” (Cass. n. 14576/2004).
In ogni caso, tutte le decisioni assembleari relative al balcone, adottate senza il consenso del proprietario dello stesso, sono da considerarsi nulle, mentre qualsiasi modifica inerente ai balconi che sia suscettibile di incidere su un bene comune, quale il decoro architettonico, necessiterà del consenso di tutti i condomini.

Verande e usi consentiti

Per veranda comunemente si intende un balcone (loggia o terrazzo) chiuso con vetrate, per la quale valgono gli analoghi principi espressi per i balconi. Le questioni relative alle verande ineriscono soprattutto alla realizzazione delle stesse, laddove non previste all’origine della costruzione dello stabile.
La trasformazione di un balcone (o di un terrazzo) in veranda, a parte tutte le necessarie autorizzazioni comunali, rientra in materia di innovazioni, ed è considerata legittima quando non diminuisca il diritto degli altri condomini, non alteri il decoro architettonico dell’edificio o non rechi pregiudizio alla stabilità dello stesso. Sono considerate innovazioni vietate, invece, la costruzione di una veranda che leda i diritti degli altri condomini alla naturale destinazione dell’originario balcone (ad es. di copertura di parte dell’edificio condominiale) (Cass. n. 2189/1981; App. Napoli 25.6.1998), impedendo la veduta ai condomini soprastanti (Cass. n. 1132/1985), ovvero la trasformazione di un balcone in veranda “eseguita mediante chiusura in alluminio e vetri” idonea, come tale ad alterare il decoro architettonico dell’edificio condominiale (Cass. n. 27224/2013).

Finestre di proprietà e condominiali

Le finestre sono, in sostanza, aperture (semplici, composte, di piccole dimensioni o a parete) sui muri dell’edificio aventi la principale funzione, unitamente alle strutture che le rendono praticabili e utilizzabili (fissi ed infissi, stipiti, cornici, imposte) di dare luce ed aria agli ambienti interni.
Esse non rientrano tra i beni comuni ex art. 1117 c.c., poiché di regola destinate a servire all’utilità esclusiva di un determinato alloggio dell’edificio e, dunque, appartenenti al relativo proprietario.
Tuttavia, le finestre possono ben costituire elementi sia di proprietà condominiale che individuale.
Al pari dei balconi, infatti, gli elementi decorativi e ornamentali posti attorno alle finestre o tra una finestra e l’altra che costituiscono carattere architettonico della facciata, in grado di incidere sul decoro dell’edificio, accrescendone il pregio estetico, sono da considerarsi parti comuni ai sensi dell’art. 1117 n. 3 c.c., per cui le spese per il loro rifacimento e manutenzione sono a carico della collettività condominiale. Analogamente, per le finestre poste usualmente negli edifici in corrispondenza del vano scale, la cui funzione è quella di dare luce e aria alle scale di collegamento dei vari piani, non vi è motivo di dubitare che le stesse, servendo l’intero condominio, debbano essere considerate, al pari delle scale, di proprietà comune, salvo diversa indicazione proveniente dagli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o dal regolamento condominiale contrattuale.
In merito, infine, agli usi consentiti, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che qualsiasi intervento sul muro comune, come l’apertura di una finestra o di vedute o la trasformazione di finestre in balconi, è espressione del legittimo uso delle parti comuni per gli effetti di cui all’art. 1102 c.c., il quale consente a ciascun condomino di “servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”, sempre che questo avvenga nel rispetto dei divieti di cui all’art. 1120 e delle norme urbanistiche (Cass. n. 53/2014). Pertanto, è stata ritenuta “legittima l’esecuzione della delibera condominiale con cui alcuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in balconi le finestre dei rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti balconi delle proprietà sottostanti, compiuta nell’ambito delle facoltà consentite dall’art. 1102 c.c. nell’uso dei beni comuni, previsto che la realizzazione del balcone non aveva provocato alcuna diminuzione di luce e di aria alla veduta esercitata dal condomino sottostante” (Cass. n. 7044/2004); mentre, invece, sono state qualificate come abusive poiché pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell’edificio “le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio”. (Cass. n. 3927/1988).

Cass.Civ. Sent 6.05.14,n. 9681- Disposiz del regolamento condominiale sull'uso delle parti comuni

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile

Sentenza 6 maggio 2014, n. 9681
Integrale

Condominio – Disposizioni del regolamento condominiale che disciplina l’uso delle parti comuni – Natura contrattuale – Esclusione – Parcheggio insufficiente – Necessità di turnazione – Delibera assembleare che disciplina l’uso del cortile comune

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22759/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
CONDOMINIO VIA (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T. – P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2037/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, emessa il 07/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Presidente Rel. Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine, il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato l’8 gennaio 2002 (OMISSIS) impugnava davanti al Tribunale di Napoli la delibera assunta in data 7 dicembre 2001 dal condominio di via (OMISSIS), in Napoli, di cui faceva parte, e che aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile col sistema della rotazione.
In particolare deduceva che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, all’articolo 8 prevedeva che le macchine dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni e che non potevano quindi parcheggiare in garage, avevano diritto di parcheggio in cortile, con le seguenti priorita’: 1) macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni; 2) macchine doppie; 3) macchine triple.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 26 settembre 1996, passata in giudicato, aveva annullato una precedente delibera dello stesso contenuto, per cui l’assemblea non avrebbe potuto disporre nello stesso senso.
Si costituivano i condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), chiedendo il rigetto della impugnazione.
In corso di causa si costituiva anche il condominio, contestando il fondamento della impugnazione.
Nel giudizio interveniva (OMISSIS), che, invece, aderiva alla impugnazione.
Con sentenza in data 17 maggio 2004 il Tribunale di Napoli annullava la delibera.
(OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) proponevano appello, al quale aderiva con appello incidentale il condominio.
Con sentenza in data 27 maggio 2008 la Corte di appello di Napoli accoglieva le impugnazioni.
Secondo i giudici di secondo grado, erroneamente il Tribunale di Napoli aveva ritenuto la natura contrattuale dell’articolo 8 del regolamento, con conseguente immodificabilita’ della disciplina dallo stesso prevista se non all’unanimita’, dal momento che tale disposizione disciplinava il godimento di una parte comune.
Da tale premessa derivava che il giudicato formatosi sulla precedente delibera valeva solo per la situazione di fatto esistente al momento in cui la stessa era stata assunta, ma non impediva una nuova deliberazione ove per il numero delle vetture interessate o per altre circostanze fosse diventato impossibile soddisfare il parcheggio di tutti nel cortile, con conseguente necessita’ di turnazione.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con tre motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e il Condominio in (OMISSIS), assistiti dallo stesso difensore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente insiste nell’invocare il giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Napoli in data 26 settembre 1996.
Il motivo e’ infondato.
Come chiarito dalla Corte di appello di Napoli il giudicato in questione era soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus, per cui non impediva la possibilita’ di una nuova delibera la quale disciplinasse il parcheggio nel cortile ove fossero mutate le condizioni esistenti all’epoca in cui la prima delibera era stata impugnata.
Con il secondo motivo il ricorrente, sul presupposto della natura contrattuale della clausola di cui all’articolo 8 del regolamento, ribadisce che la stessa non avrebbe potuto essere modificata se non con il consenso unanime dei condomini.
Il motivo e’ infondato.
La Corte di appello, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto che siano state approvate all’unanimita’, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’articolo 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che anche volendo ammettere che il precedente giudicato non costituiva causa ostativa alla assunzione di una delibera che disciplinasse l’uso del parcheggio nel cortile comune, la Corte di appello avrebbe dovuto comunque indicare quali erano le mutate condizioni che rendevano legittima la nuova delibera.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto introduce una questione che non ha costituito oggetto del giudizio nelle fasi di merito, avendo l’attuale ricorrente, a quanto si ricava dalla sentenza impugnata, invocato sempre e soltanto la natura contrattuale del regolamento e il precedente giudicato, senza mai, neppure in via subordinata, dedurre che comunque la delibera impugnata si basava su presupposti di fatto in realta’ non esistenti.
In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, con liquidazione unitaria in favore dei controricorrenti, in quanto assisiti dallo stesso difensore, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella complessiva somma di euro 2.200,00, di cui euro 200 per esborsi.

Nuove Categorie Catatali in arrivo

Saranno previste due maxi categorie: quella ordinaria “O” e quella speciale “S”; la prima riguarderà le abitazioni, la seconda gli impianti e i servizi.
È ormai entrata nel vivo la riforma dei valori catastali degli immobili: un’azione che porterà alla rideterminazione di importi ormai vecchi e non aggiornati, ma soprattutto non corrispondenti alla reale condizione di numerosi immobili. Le neo-istituite Commissioni censuarie sono chiamate a riclassificare e rivalutare tutto il patrimonio italiano. L’iter, che partirà nella seconda metà di quest’anno, dovrebbe terminare entro il 2019. Nel novembre scorso il governo ha dato il via libera alla riforma del Catasto, con l’istituzione delle commissioni censuarie, che dovranno individuare i criteri su cui basare le nuove valutazioni delle rendite. Quel che è certo è che i nuovi meccanismi di calcolo delle rendite catastali non si baseranno più sul numero dei vani, ma sui metri quadrati, tenendo conto anche del reddito da locazione medio, della collocazione e delle caratteristiche edilizie dell’immobile (qualità, anno di costruzione…). Una volta elaborati i nuovi meccanismi (entro marzo 2015), le commissioni si occuperanno del censimento vero e proprio, passando in rassegna case, fabbricati e terreni. Insomma, la parola d’ordine sarà, per il futuro, edifici in linea con il valore di mercato effettivo (sebbene, a causa dell’attuale crisi edilizia, in molte aree del Paese questo mercato non ci sia più). Ma lo scopo è anche quello di far emergere i cosiddetti “immobili fantasma”, mai censiti al Catasto, e colpire chi fino a oggi ha pagato meno per immobili di un certo prestigio. Basare il calcolo sui metri quadrati anziché sui vani dovrebbe portare a stime più eque, perché si prenderà in considerazione la dimensione reale degli immobili.

La nuova suddivisione

Tra gli aspetti principali del secondo decreto governativo c’è la definizione delle nuove categorie catastali. Ricordiamo che la categoria consiste nella tipologia delle unità immobiliari, presenti nella zona censuaria, differente per le caratteristiche intrinseche che ne determinano la destinazione ordinaria e permanente.
Ecco come funzionerà nella sostanza la riforma. Gli immobili urbani saranno divisi in due maxi gruppi (attualmente, invece, i gruppi sono cinque):

1 | CATEGORIA ORDINARIA

– gli immobili “a destinazione ordinaria”: si tratterà delle abitazioni e saranno identificati dalla lettera “O”. A loro volta saranno suddivisi in 8 sub-categorie (da O/1 a O/8: un numero inferiore rispetto a quello attuale) che distingueranno le abitazioni in palazzi, villette e “abitazioni tipiche”, uffici e studi, cantine, posti auto, negozi e magazzini.
Le unità immobiliari delle categorie ordinarie sono valutate mediante funzioni statistiche che mettono in relazione i valori (e i redditi) e le variabili esplicative, come quelle riguardanti la posizione e quelle derivanti dalle caratteristiche edilizie. L’ambito territoriale può essere una zona Omi, una aggregazione di queste interne a un Comune, l’intero Comune o una aggregazione di più Comuni. Il valore (o il reddito) di un’unità immobiliare sarà dato da un importo unitario di riferimento di zona, corretto con coefficienti accrescitivi o diminutivi, moltiplicato per la superficie dell’unità.

2 | CATEGORIA SPECIALE

– gli immobili “a destinazione speciale”, identificati dalla lettera “S”, saranno suddivisi in 18 categorie (un numero superiore rispetto a quello attuale) a seconda del tipo di attività degli impianti (energia, miniere, industria, logistica, ambiente) o degli immobili occupati da servizi (direzionali, commerciali, scuole, sanità, ecc.). Probabilmente verrà previsto anche un ulteriore gruppo (identificato con la lettera “I”), in cui iscrivere senza attribuzione di valore e rendita le unità immobiliari improduttive, costituite dalle attuali categorie F (unità collabenti in corso di costruzione o definizione, lastrici solari e aree urbane). La legge delega prevede che per calcolare il valore fiscale degli immobili si prenda come riferimento il triennio 2011-2013.

L’INCIDENZA SULLA TASSAZIONE

L’aggiornamento del valore catastale degli immobili comporterà un innalzamento della base imponibile delle imposte sulla casa. Con ineliminabile aumento della tassazione.
fonte sito internet http://www.laleggepertutti.it/61432_nuove-categorie-catastali-in-arrivo-la-riforma