Nuovo Regime dei mimini (2015)

Legge n. 190 del 2014 (Legge di Stabilità), commi da 54 a 89: come cambia il regime forfait dei minimi.

Sono ben 35 i commi della Legge di stabilità 2015 che disciplinano il nuovo regime forfettario dei minimi (dal comma 54 all’89). Le nuove regole si applicano alle persone fisiche (ditte individuali, imprese familiari e professionisti) con partita Iva autonoma.
In questo articolo, dopo una breve illustrazione del funzionamento del nuovo regime, riporteremo tutte le norme contenute nella legge di stabilità riferite all’istituto in oggetto.
A differenza del “vecchio” regime dei minimi, i requisiti di accesso previsti dalla nuova normativa non richiedono una particolare età anagrafica, anzianità della partita Iva e il requisito della novità dall’attività svolta. In pratica, quindi, potranno fruire del nuovo regime anche coloro che erano esclusi dall’applicazione dei regimi di favore previsti per la nuova imprenditoria giovanile [1] o i cosiddetti NIP [2].
Il precedente regime non viene comunque abrogato. Al contrario esso resta valido e viene applicato a quanti hanno aperto la partita IVA prima del 31 dicembre 2014. A tali soggetti continueranno quindi ad applicarsi le vecchie regole, fino al naturale esaurimento del regime: scadere del quinquennio o raggiungimento dei 35 anni di età. Essi non saranno interessati dall’aumento dell’imposizione (che, per come si vedrà a breve, è passata dal 5% al 15%).
Il nuovo regime forfetario è entrato in vigore il 1° gennaio 2015.
Condizione per rientrare nei minimi e ottenere il trattamento fiscale agevolato è quella di possedere i requisiti strutturali di accesso (in ogni caso costoro possono optare per il tradizionale regime ordinario o semplificato).
Rispetto al vecchio regime, sono cambiati decisamente i parametri di riferimento per l’accesso. Il limite previsto per i ricavi/compensi viene differenziato a seconda del tipo di attività. Con una forbice che va dai 15.000 euro previsti per le attività professionali e gli intermediari del commercio, ai 40.000 euro per i commercianti all’ingrosso e al dettaglio.

Semplificazioni e Iva

Ai fini Iva, il contribuente forfetario è considerato come un consumatore finale. Egli non paga l’IVA allo Stato e, quindi, non la richiede al cliente e non la incassa. Tutte le operazioni sono quindi IVA-esenti.
Può sempre svolgere l’attività di importazione ed esportazione o l’effettuazione di operazioni intra-Ue anche se, in questi casi, permane qualche adempimento agli effetti dell’Iva.
Sono inoltre previsti i seguenti benefici:

  • esonero dal versamento Iva;
  • esonero dalla registrazione delle fatture emesse;
  • esonero dalla tenuta e conservazione dei registri e dei documenti, salvo che per le fatture di acquisto e le bollette doganali;
  • esonero dalla presentazione degli studi di settore;
  • nessuna comunicazione annuale IVA, dello spesometro e della black list.

Esclusioni

  1. soggetti che si avvalgono di regimi speciali Iva;
  2. soggetti che si avvalgono di regimi forfetari di determinazione del reddito;
  3. soggetti non residenti ad eccezione di quelli residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea e in Norvegia e Islanda;
  4. soggetti che effettuano, in via esclusiva o prevalente, cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricato, di terreni edificabili;
  5. soggetti che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone o associazioni o a società a responsabilità limitata trasparenti.

Come funziona il nuovo regime dei minimi

Vengono previsti 9 cluster che includono tutti gli attuali codici Ateco. I parametri, riferiti all’anno precedente, per accedere al regime sono:

  1. le spese per lavoratori dipendenti, collaboratori e assimilati non devono essere superiori a 5.000 euro lordi;
  2. il costo complessivo (al lordo degli ammortamenti) dei beni strumentali non deve superare i 20.000 euro. Il valore dello stock dei beni strumentali posseduti (di proprietà, in locazione, noleggio, comodato etc) va considerato al 31 dicembre dell’esercizio precedente. I beni ad uso promiscuo per l’attività e ad uso personale concorrono al computo del limite in esame nella misura del 50 per cento del valore. Non rilevano nel computo del limite i beni immobili.

I redditi conseguiti nell’attività d’impresa, dell’arte o della professione soggetti al regime forfetario devono essere prevalenti rispetto a quelli eventualmente percepiti come redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. La verifica della suddetta prevalenza non è, comunque, rilevante se il rapporto di lavoro è cessato o la somma dei redditi d’impresa, dell’arte o professione e di lavoro dipendente o assimilato non eccede l’importo di 20.000 euro.
La determinazione del reddito avviene su scala forfetaria applicando la percentuale di redditività fissata dalla legge sull’ammontare complessivo annuo di ricavi o compensi incassati. Si applica, infatti, la tassazione per “cassa” e non per “competenza”.
I contributi previdenziali sono deducibili direttamente dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo.
Le percentuali di redditività previste dal Legislatore vanno da un massimo del 86% per le attività immobiliari ad un minimo del 40% per i commercianti e i servizi di alloggio e ristorazione.
Il fulcro del nuovo sistema, che lo rende apparentemente meno appetibile di quello precedente, è l’aliquota dell’imposta forfettaria che passa dal 5% (per tutti coloro che rientrano nelle vecchie regole) al 15%. Una triplicazione dell’imposizione fiscale accolta non di buon grado dal popolo delle partite Iva, sempre più in crisi.
Per la “nuova imprenditoria giovanile” l’imposta è del 5%.

Durata e fuoriuscita dal nuovo regime

Si resta dentro il nuovo regime forfetario fino a quando non si perde uno dei requisiti obbligatori richiesti o fino a quando non si decide volontariamente di uscirne.
Infatti, il regime cessa di avere efficacia a partire dall’anno successivo a quello in cui viene meno una delle condizioni previste per la sua applicazione.
Il superamento del limite dei ricavi/compensi determina la fuoriuscita immediata dal regime se supera di oltre il 50% il limite massimo consentito.
Novità assoluta è quella riferita ai fini previdenziali. Per chi esercita l’attività d’impresa l’agevolazione è estesa anche all’ambito previdenziale, in quanto i contributi sono calcolati sul reddito determinato a forfait in base ai medesimi criteri individuati ai fini fiscali. Ne consegue la non applicazione, per gli iscritti alla gestione artigiani e commercianti presso l’Inps, del cosiddetto minimale di reddito (per il 2014 il reddito minimo è 15.516 euro, a cui corrispondono contributi minimi annui rispettivamente pari a 3.451,99 euro per gli artigiani e 3.465,96 per gli iscritti alla gestione dei commercianti).
A fronte del versamento ridotto dei contributi, i mesi di anzianità contributiva da accreditare sono proporzionalmente ridotti, così come già avviene per la gestione separata dell’Inps dove non esiste alcun minimale di reddito e contribuzione [3].


LE NUOVE NORME
Legge n. 190 del 2014 (Legge di Stabilità), commi da 54 a 89.

54. I contribuenti persone fisiche esercenti attivita’ d’impresa, arti o professioni applicano il regime forfetario di cui al presente comma e ai commi da 55 a 89 del presente articolo se, al contempo, nell’anno precedente:
a) hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori ai limiti indicati nell’allegato n. 4 annesso alla presente legge, diversi a seconda del codice ATECO che contraddistingue l’attivita’ esercitata;
b) hanno sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore ad euro 5.000 lordi per lavoro accessorio di cui all’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, per lavoratori dipendenti, collaboratori di cui all’articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, anche assunti secondo la modalita’ riconducibile a un progetto ai sensi degli articoli 61 e seguenti del citato decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all’articolo 53, comma 2, lettera c), e le spese per prestazioni di lavoro di cui all’articolo 60 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni;
c) il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio non supera 20.000 euro. Ai fini del calcolo del predetto limite:

  1. per i beni in locazione finanziaria rileva il costo sostenuto dal concedente;
  2. per i beni in locazione, noleggio e comodato rileva il valore normale dei medesimi determinato ai sensi dell’articolo 9 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni;
  3. i beni, detenuti in regime di impresa o arte e professione, utilizzati promiscuamente per l’esercizio dell’impresa, dell’arte o professione e per l’uso personale o familiare del contribuente, concorrono nella misura del 50 per cento;
  4. non rilevano i beni il cui costo unitario non e’ superiore ai limiti di cui agli articoli 54, comma 2, secondo periodo, e 102, comma 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni;
  5. non rilevano i beni immobili, comunque acquisiti, utilizzati per l’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione;

d) i redditi conseguiti nell’attivita’ d’impresa, dell’arte o della professione sono in misura prevalente rispetto a quelli eventualmente percepiti come redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; la verifica della suddetta prevalenza non e’, comunque, rilevante se il rapporto di lavoro e’ cessato o la somma dei redditi d’impresa, dell’arte o professione e di lavoro dipendente o assimilato non eccede l’importo di 20.000 euro.
55. Ai fini dell’individuazione del limite dei ricavi e dei compensi di cui al comma 54, lettera a), per l’accesso al regime:
a) non rilevano i ricavi e i compensi derivanti dall’adeguamento agli studi di settore di cui all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, e ai parametri di cui alla legge 28 dicembre 1995, n. 549;
b) nel caso di esercizio contemporaneo di attivita’ contraddistinte da differenti codici ATECO, si assume il limite piu’ elevato dei ricavi e dei compensi relativi alle diverse attivita’ esercitate.
56. Le persone fisiche che intraprendono l’esercizio di imprese, arti o professioni possono avvalersi del regime forfetario comunicando, nella dichiarazione di inizio di attivita’ di cui all’articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, di presumere la sussistenza dei requisiti di cui al comma 54 del presente articolo.
57. Non possono avvalersi del regime forfetario:
a) le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini dell’imposta sul valore aggiunto o di regimi forfetari di determinazione del reddito;
b) i soggetti non residenti, ad eccezione di quelli che sono residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo che assicuri un adeguato scambio di informazioni e che producono nel territorio dello Stato italiano redditi che costituiscono almeno il 75 per cento del reddito complessivamente prodotto;
c) i soggetti che in via esclusiva o prevalente effettuano cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricato, di terreni edificabili di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, o di mezzi di trasporto nuovi di cui all’articolo 53, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
d) gli esercenti attivita’ d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attivita’, a societa’ di persone o associazioni di cui all’articolo 5 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, ovvero a societa’ a responsabilita’ limitata di cui all’articolo 116 del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni.
58. Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, i contribuenti di cui al comma 54: a) non esercitano la rivalsa dell’imposta di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per le operazioni nazionali; b) applicano alle cessioni di beni intracomunitarie l’articolo 41, comma 2-bis, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni; c) applicano agli acquisti di beni intracomunitari l’articolo 38, comma 5, lettera c), del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni; d) applicano alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi gli articoli 7-ter e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni; e) applicano alle importazioni, alle esportazioni e alle operazioni ad esse assimilate le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, ferma restando l’impossibilita’ di avvalersi della facolta’ di acquistare senza applicazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera c), e secondo comma, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, e successive modificazioni. Per le operazioni di cui al presente comma i contribuenti di cui al comma 54 non hanno diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni.
59. Salvo quanto disposto dal comma 60, i contribuenti che applicano il regime forfetario sono esonerati dal versamento dell’imposta sul valore aggiunto e da tutti gli altri obblighi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ad eccezione degli obblighi di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti. Resta fermo l’esonero dall’obbligo di certificazione di cui all’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696, e successive modificazioni.
60. I contribuenti che applicano il regime forfetario, per le operazioni per le quali risultano debitori dell’imposta, emettono la fattura o la integrano con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e versano l’imposta entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni.
61. Il passaggio dalle regole ordinarie di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto al regime forfetario comporta la rettifica della detrazione di cui all’articolo 19-bis.2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, da operarsi nella dichiarazione dell’ultimo anno di applicazione delle regole ordinarie. In caso di passaggio, anche per opzione, dal regime forfetario alle regole ordinarie e’ operata un’analoga rettifica della detrazione nella dichiarazione del primo anno di applicazione delle regole ordinarie.
62. Nell’ultima liquidazione relativa all’anno in cui e’ applicata l’imposta sul valore aggiunto e’ computata anche l’imposta relativa alle operazioni, per le quali non si e’ ancora verificata l’esigibilita’, di cui all’articolo 6, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, e all’articolo 32-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Nella stessa liquidazione puo’ essere esercitato, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, e successive modificazioni, il diritto alla detrazione dell’imposta relativa alle operazioni di acquisto effettuate in vigenza dell’opzione di cui all’articolo 32-bis del citato decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e i cui corrispettivi non sono stati ancora pagati.
63. L’eccedenza detraibile emergente dalla dichiarazione presentata dai contribuenti che applicano il regime forfetario, relativa all’ultimo anno in cui l’imposta sul valore aggiunto e’ applicata nei modi ordinari, puo’ essere chiesta a rimborso ovvero puo’ essere utilizzata in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.
64. I soggetti di cui al comma 54 determinano il reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditivita’ nella misura indicata nell’allegato n. 4 annesso alla presente legge, diversificata a seconda del codice ATECO che contraddistingue l’attivita’ esercitata. Sul reddito imponibile si applica un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell’imposta regionale sulle attivita’ produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, pari al 15 per cento. Nel caso di imprese familiari di cui all’articolo 5, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, l’imposta sostitutiva, calcolata sul reddito al lordo delle quote assegnate al coniuge e ai collaboratori familiari, e’ dovuta dall’imprenditore. I contributi previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico, ai sensi dell’articolo 12 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni, ovvero, se non fiscalmente a carico, qualora il titolare non abbia esercitato il diritto di rivalsa sui collaboratori stessi, si deducono dal reddito determinato ai sensi del presente comma; l’eventuale eccedenza e’ deducibile dal reddito complessivo ai sensi dell’articolo 10 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni. Si applicano le disposizioni in materia di versamento dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
65. Al fine di favorire l’avvio di nuove attivita’, per il periodo d’imposta in cui l’attivita’ e’ iniziata e per i due successivi, il reddito determinato ai sensi del comma 64 e’ ridotto di un terzo, a condizione che:
a) il contribuente non abbia esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attivita’ di cui al comma 54, attivita’ artistica, professionale ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare;
b) l’attivita’ da esercitare non costituisca, in nessun modo, mera prosecuzione di altra attivita’ precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attivita’ precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;
c) qualora venga proseguita un’attivita’ svolta in precedenza da altro soggetto, l’ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente quello di riconoscimento del predetto beneficio, non sia superiore ai limiti di cui al comma 54.
66. I componenti positivi e negativi di reddito riferiti ad anni precedenti a quello da cui ha effetto il regime forfetario, la cui tassazione o deduzione e’ stata rinviata in conformita’ alle disposizioni del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che dispongono o consentono il rinvio, partecipano per le quote residue alla formazione del reddito dell’esercizio precedente a quello di efficacia del predetto regime. Analoghe disposizioni si applicano ai fini della determinazione del valore della produzione netta.
67. I ricavi e i compensi relativi al reddito oggetto del regime forfetario non sono assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta. A tale fine, i contribuenti rilasciano un’apposita dichiarazione dalla quale risulti che il reddito cui le somme afferiscono e’ soggetto ad imposta sostitutiva.
68. Le perdite fiscali generatesi nei periodi d’imposta anteriori a quello da cui decorre il regime forfetario possono essere computate in diminuzione del reddito determinato ai sensi del comma 64 secondo le regole ordinarie stabilite dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
69. Fermo restando l’obbligo di conservare, ai sensi dell’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, i documenti ricevuti ed emessi, i contribuenti che applicano il regime forfetario sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili. La dichiarazione dei redditi e’ presentata nei termini e con le modalita’ definiti nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. I contribuenti di cui al comma 54 del presente articolo non sono tenuti a operare le ritenute alla fonte di cui al titolo III del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, e successive modificazioni; tuttavia, nella dichiarazione dei redditi, i medesimi contribuenti indicano il codice fiscale del percettore dei redditi per i quali all’atto del pagamento degli stessi non e’ stata operata la ritenuta e l’ammontare dei redditi stessi.
70. I contribuenti che applicano il regime forfetario possono optare per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sul reddito nei modi ordinari. L’opzione, valida per almeno un triennio, e’ comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.
71. Il regime forfetario cessa di avere applicazione a partire dall’anno successivo a quello in cui viene meno taluna delle condizioni di cui al comma 54 ovvero si verifica taluna delle fattispecie indicate al comma 57.
72. Nel caso di passaggio da un periodo d’imposta soggetto al regime forfetario a un periodo d’imposta soggetto a regime ordinario, al fine di evitare salti o duplicazioni di imposizione, i ricavi e i compensi che, in base alle regole del regime forfetario, hanno gia’ concorso a formare il reddito non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi ancorche’ di competenza di tali periodi; viceversa i ricavi e i compensi che, ancorche’ di competenza del periodo in cui il reddito e’ stato determinato in base alle regole del regime forfetario, non hanno concorso a formare il reddito imponibile del periodo assumono rilevanza nei periodi di imposta successivi nel corso dei quali si verificano i presupposti previsti dal regime forfetario. Corrispondenti criteri si applicano per l’ipotesi inversa di passaggio dal regime ordinario a quello forfetario. Nel caso di passaggio da un periodo di imposta soggetto al regime forfetario a un periodo di imposta soggetto a un diverso regime, le spese sostenute nel periodo di applicazione del regime forfetario non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi. Nel caso di cessione, successivamente all’uscita dal regime forfetario, di beni strumentali acquisiti in esercizi precedenti a quello da cui decorre il regime forfetario, ai fini del calcolo dell’eventuale plusvalenza o minusvalenza determinata, rispettivamente, ai sensi degli articoli 86 e 101 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, si assume come costo non ammortizzato quello risultante alla fine dell’esercizio precedente a quello dal quale decorre il regime. Se la cessione concerne beni strumentali acquisiti nel corso del regime forfetario, si assume come costo non ammortizzabile il prezzo di acquisto.
73. I contribuenti che applicano il regime forfetario sono esclusi dall’applicazione degli studi di settore di cui all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, e dei parametri di cui all’articolo 3, comma 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549. Con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate recante approvazione dei modelli da utilizzare per la dichiarazione dei redditi sono individuati, per i contribuenti che applicano il regime forfetario, specifici obblighi informativi relativamente all’attivita’ svolta.
74. Per l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni vigenti in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di imposta regionale sulle attivita’ produttive. In caso di infedele indicazione, da parte dei contribuenti, dei dati attestanti i requisiti e le condizioni di cui ai commi 54 e 57 che determinano la cessazione del regime previsto dai commi da 54 a 89, nonche’ le condizioni di cui al comma 65, le misure delle sanzioni minime e massime stabilite dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono aumentate del 10 per cento se il maggiore reddito accertato supera del 10 per cento quello dichiarato. Il regime forfetario cessa di avere applicazione dall’anno successivo a quello in cui, a seguito di accertamento divenuto definitivo, viene meno taluna delle condizioni di cui al comma 54 ovvero si verifica taluna delle fattispecie indicate al comma 57.
75. Ai fini del riconoscimento delle detrazioni per carichi di famiglia ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, rileva anche il reddito determinato ai sensi del comma 64 del presente articolo. Tale reddito non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 13 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni.
76. I soggetti di cui al comma 54 esercenti attivita’ d’impresa possono applicare, ai fini contributivi, il regime agevolato di cui ai commi da 77 a 84.
77. Per i soggetti di cui al comma 76 del presente articolo non trova applicazione il livello minimo imponibile previsto ai fini del versamento dei contributi previdenziali dall’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, e si applica, per l’accredito della contribuzione, la disposizione di cui all’articolo 2, comma 29, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
78. Nel caso in cui siano presenti coadiuvanti o coadiutori, il soggetto di cui al comma 76 del presente articolo puo’ indicare la quota di reddito di spettanza dei singoli collaboratori, fino a un massimo, complessivamente, del 49 per cento. Per tali soggetti, il reddito imponibile sul quale calcolare la contribuzione dovuta si determina ai sensi dell’articolo 3-bis del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e successive modificazioni.
79. I versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da parte dei soggetti di cui al comma 76 sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi.
80. Ai soggetti di cui al comma 76 del presente articolo e ai loro familiari collaboratori, gia’ pensionati presso le gestioni dell’INPS e con piu’ di 65 anni di eta’, non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 59, comma 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
81. Ai familiari collaboratori dei soggetti di cui al comma 54 del presente articolo non si applica la riduzione contributiva di tre punti percentuali, prevista dall’articolo 1, comma 2, della legge 2 agosto 1990, n. 233.
82. Il regime contributivo agevolato cessa di avere applicazione a partire dall’anno successivo a quello in cui viene meno taluna delle condizioni di cui al comma 54 ovvero si verifica taluna delle fattispecie di cui al comma 57. La cessazione determina, ai fini previdenziali, l’applicazione del regime ordinario di determinazione e di versamento del contributo dovuto. Il passaggio al regime previdenziale ordinario, in ogni caso, determina l’impossibilita’ di fruire nuovamente del regime contributivo agevolato, anche laddove sussistano le condizioni di cui al comma 54. Non possono accedere al regime contributivo agevolato neanche i soggetti che ne facciano richiesta, ma per i quali si verifichi il mancato rispetto delle condizioni di cui al comma 54 nell’anno della richiesta stessa.
83. Al fine di fruire del regime contributivo agevolato, i soggetti di cui al comma 54 che intraprendono l’esercizio di un’attività d’impresa presentano, mediante comunicazione telematica, apposita dichiarazione messa a disposizione dall’INPS; i soggetti gia’ esercenti attivita’ d’impresa presentano, entro il termine di decadenza del 28 febbraio di ciascun anno, la medesima dichiarazione. Ove la dichiarazione sia presentata oltre il termine stabilito, nelle modalita’ indicate, l’accesso al regime agevolato puo’ avvenire a decorrere dall’anno successivo, presentando nuovamente la dichiarazione stessa entro il termine stabilito, ferma restando la permanenza delle condizioni di cui al comma 54.
84. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge l’Agenzia delle entrate e l’INPS stabiliscono le modalita’ operative e i termini per la trasmissione dei dati necessari all’attuazione del regime contributivo agevolato.
85. Sono abrogati, salvo quanto previsto dal comma 88:
a) l’articolo 13 della legge 23 dicembre 2000, n. 388;
b) l’articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
c) l’articolo 1, commi da 96 a 115 e 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni.
86. I soggetti che nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 si avvalgono del regime fiscale agevolato di cui all’articolo 13 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, del regime fiscale di vantaggio di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, o del regime contabile agevolato di cui all’articolo 27, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 98 del 2011, in possesso dei requisiti previsti dal comma 54 del presente articolo, applicano il regime forfetario, salva opzione per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sul reddito nei modi ordinari.
87. I soggetti che nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 si avvalgono del regime fiscale agevolato di cui all’articolo 13 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, o del regime fiscale di vantaggio di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, possono applicare, laddove in possesso dei requisiti previsti dalla legge, il regime di cui al comma 65 del presente articolo per i soli periodi d’imposta che residuano al completamento del triennio agevolato.
88. I soggetti che nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 si avvalgono del regime fiscale di vantaggio di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, possono continuare ad avvalersene per il periodo che residua al completamento del quinquennio agevolato e comunque fino al compimento del trentacinquesimo anno di eta’.
89. Le disposizioni dei commi da 54 a 88 si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Con decreti di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze possono essere dettate le disposizioni necessarie per l’attuazione dei commi da 54 a 88. Con provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le relative modalita’ applicative.

Imposta di registro e di bollo per qualsiasi sentenza

Addio imposta di registro e di bollo per qualsiasi sentenza di modesto valore

Per le cause di valore non superiore ad euro 1.033,00, a prescindere se del giudice di pace o del tribunale.

Una tassa tanto odiata quanto dovuta quella sulle sentenze emesse dai giudici, specie perché a pagarla è proprio colui che ha perso il giudizio (salva comunque la solidarietà passiva anche dell’altra parte). Ora, però, arrivano buone notizie.
Ieri, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha fatto sapere [1] che, per le sentenze relative a cause di “modesto valore” non saranno più dovute l’imposta di registro e quella di bollo. La risoluzione prende così atto del recentissimo orientamento della Cassazione [2] e finisce per estendere l’esenzione in commento anche alle sentenze di appello dei provvedimenti del giudice di pace (che già sono esenti).
La Suprema Corte infatti aveva chiarito che la legge [3] “nel suo significato ampiamente comprensivo…si riferisce genericamente alle cause ed alle attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede € 1.033,00, ciò che abilita l’interprete a ritenere che il legislatore abbia voluto fare riferimento, ai fini dell’esenzione…alle sentenze adottate in tutti i gradi di giudizio. Quindi, il limite non deve riferirsi solo ai provvedimenti del giudice di pace, ma anche a quelli del Tribunale (il che, ovviamente, poste le regole sulla competenza, si riferisce o ai giudizi in grado di appello o alle materie assegnate alla competenza funzionale del Tribunale).
Secondo la sentenza, lo scopo della norma è “alleviare l’utente dal costo di servizio di giustizia per le procedure di valore più modesto, in relazione alle quali è evidentemente apparso incongruo pretendere l’assolvimento di un tributo che, per il fatto di essere determinato in termini ordinariamente percentuali rispetto alla rilevanza economica della causa avente valore determinato, ammonta comunque ad importo irrisorio e spesso inadeguato a giustificare una complessa procedura di esazione”.
Si tratta, dunque, di una esenzione generalizzata dal pagamento della tassa di registro per tutte le sentenze adottate nelle procedure giudiziarie di valore modesto, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito.
Così, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate per specificare che anche l’amministrazione finanziaria si adegua all’interpretazione della Cassazione e ritiene così superate le precedenti risoluzioni di segno opposto [4].
In conclusione, dunque, l’esenzione dal bollo e dall’imposta di registro (per le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede € 1.033,00) deve trovare applicazione non solo in relazione agli atti e provvedimenti relativi al giudizio dinanzi al giudice di pace ma anche agli atti e provvedimenti emessi dai giudici ordinari nei successivi gradi di giudizio.

[1] Ag. Entrate risoluzione n. 97/E.
[2] Cass. Sent. n. 16310 del 16.07.2014.
[3] Art. 46 della legge 347/1991.
[4] Cfr. risoluzione Ag. Entrate n. 48/E del 2011

D. L.12 settembre 2014, n. 132

Decreto Legge 12 settembre 2014, N. 132
Testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica

CAPO I
Eliminazione dell’arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti 

Articolo 1. (Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria)

1. Nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d’appello pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa non è stata assunta in decisione, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile.
Tale facoltà è consentita altresì nelle cause vertenti su diritti che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, quando il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale. Per le controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, nei casi in cui sia parte del giudizio una pubblica amministrazione, il consenso di questa alla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dalla sola parte privata si intende in ogni caso prestato, salvo che la pubblica amministrazione esprima il dissenso scritto entro trenta giorni dalla richiesta.

2. Il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la corte di appello per la nomina del collegio arbitrale per le controversie di valore superiore ad euro 100.000 e, ove le parti lo decidano concordemente, di un arbitro per le controversie di valore inferiore ad euro 100.000. Gli arbitri sono individuati, concordemente dalle parti o dal presidente del Consiglio dell’ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni nell’albo dell’ordine circondariale che non hanno subìto negli ultimi cinque anni condanne definitive comportanti la sospensione dall’albo e che, prima della trasmissione del fascicolo, hanno reso una dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso.
2-bis. La funzione di consigliere dell’ordine e l’incarico arbitrale di cui al presente articolo sono incompatibili. Tale incompatibilità si estende anche per i consiglieri uscenti per una intera consiliatura successiva alla conclusione del loro mandato.
3. Il procedimento prosegue davanti agli arbitri. Restano fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale e il lodo ha gli stessi effetti della sentenza.
4. Quando la trasmissione a norma del comma 2 è disposta in grado d’appello e il procedimento arbitrale non si conclude con la pronuncia del lodo entro centoventi giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio dei successivi sessanta giorni. È in facoltà degli arbitri, previo accordo tra le parti, richiedere che il termine per il deposito del lodo sia prorogato di ulteriori trenta giorni. Quando il processo è riassunto il lodo non può essere più pronunciato. Se nessuna delle parti procede alla riassunzione nel termine, il procedimento si estingue e si applica l’articolo 338 del codice di procedura civile. Quando, a norma dell’articolo 830 del codice di procedura civile, è stata dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di centoventi giorni di cui al primo periodo o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la riassunzione, il processo deve essere riassunto entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità.
5. Nei casi di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, con decreto regolamentare del Ministro della giustizia, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono essere stabilite riduzioni dei parametri relativi ai compensi degli arbitri. Nei medesimi casi non si applica l’articolo 814, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile.
5-bis. Con il decreto di cui al comma 5 sono altresì stabiliti i criteri per l’assegnazione degli arbitrati tra i quali, in particolare, le competenze professionali dell’arbitro, anche in relazione alle ragioni del contendere e alla materia oggetto della controversia, nonché il principio della rotazione nell’assegnazione degli incarichi, prevedendo altresì sistemi di designazione automatica.


CAPO II
Procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati

Articolo 2. (Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati)

1. La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per
risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo anche ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.
1-bis. È fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente.
2. La convenzione di negoziazione deve precisare: a) il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti; b) l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro.
3. La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il termine di cui al comma 2, lettera a).
4. La convenzione di negoziazione è redatta, a pena di nullità, in forma scritta.
5. La convenzione è conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati.
6. Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.
7. È dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.

Articolo 3. (Improcedibilità)

1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 2 comma 3. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito. Il presente comma non si applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori. 2. Quando l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a).
3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione; b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile; c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; d) nei procedimenti in camera di consiglio; e) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
4. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui al comma 1 non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.
5. Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi.
6. Quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni. A tale fine la parte è tenuta a depositare all’avvocato apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo avvocato, nonché a produrre, se l’avvocato lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
7. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando la parte può stare in giudizio personalmente.
8. Le disposizioni di cui al presente articolo acquistano efficacia decorsi novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Articolo 4. (Non accettazione dell’invito e mancato accordo)

1. L’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile.
2. La certificazione dell’autografia della firma apposta all’invito avviene ad opera dell’avvocato che formula l’invito.
3. La dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati.

Articolo 5. (Esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione)

1. L’accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
2. Gli avvocati certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
2-bis. L’accordo di cui al comma 1 deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile.
3. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
4. Costituisce illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato.
4-bis. All’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «L’accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile».

Articolo 6. (Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio)

1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1o dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
2. In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All’accordo autorizzato si applica il comma 3.
3. L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5.
4. All’avvocato che vìola l’obbligo di cui al comma 3, terzo periodo, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000. Alla irrogazione della sanzione di cui al periodo che precede è competente il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall’articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
5. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 49, comma 1, dopo la lettera g) è inserita la seguente: «g-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento del matrimonio»; »; b) all’articolo 63, comma 2, dopo la lettera h) è aggiunta la seguente: «h-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio»; c) all’articolo 69, comma 1, dopo la lettera d) è inserita la seguente: «d-bis) degli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio».

Articolo 7. (Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro)

Soppresso.

Articolo 8. (Interruzione della prescrizione e della decadenza)

1. Dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all’articolo 4, comma 1, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

Articolo 9. (Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza)

1. I difensori non possono essere nominati arbitri ai sensi dell’articolo 810 del codice di procedura civile nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse.
2. È fatto obbligo agli avvocati e alle parti di comportarsi con lealtà e di tenere riservate le informazioni ricevute. Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto.
3. I difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite.
4. A tutti coloro che partecipano al procedimento si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del medesimo codice di procedura penale in quanto applicabili.
4-bis. La violazione delle prescrizioni di cui al comma 1 e degli obblighi di lealtà e riservatezza di cui al comma 2 costituisce per l’avvocato illecito disciplinare.

Articolo 10. (Antiriciclaggio)

1. All’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo le parole: «compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento,» sono inserite le seguenti: «anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge,».

Articolo 11. (Raccolta dei dati)

1. I difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione sono tenuti a trasmetterne copia al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati.
2. Con cadenza annuale il Consiglio nazionale forense provvede al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e ne trasmette i dati al Ministero della giustizia.
2-bis. Il Ministro della giustizia trasmette alle Camere, con cadenza annuale, una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni di cui al presente capo, contenente, in particolare, i dati trasmessi ai sensi del comma 2, distinti per tipologia di controversia, unitamente ai dati relativi alle controversie iscritte a ruolo nell’anno di riferimento, a loro volta distinti per tipologia.


CAPO III
Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio
 

Articolo 12. (Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile)

1. I coniugi possono concludere, innanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato civile a norma dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, un accordo di separazione personale ovvero, nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1o dicembre 1970, n. 898, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti.
3. L’ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti personalmente, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, la dichiarazione che esse vogliono separarsi ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate. Allo stesso modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. L’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento delle dichiarazioni di cui al presente comma.
L’accordo tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo condizioni concordate, l’ufficiale dello stato civile, quando riceve le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo anche ai fini degli adempimenti di cui al comma 5. La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo.
4. All’articolo 3, al secondo capoverso della lettera b) del numero 2 del primo comma della legge 1º dicembre 1970, n. 898, dopo le parole «trasformato in consensuale» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile.».
5. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 49, comma 1, dopo la lettera g-bis), è aggiunta la seguente lettera: «g-ter) gli accordi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile;»; b) all’articolo 63, comma 1, dopo la lettera g), è aggiunta la seguente lettera: «g-ter) gli accordi di separazione personale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;»; c) all’articolo 69, comma 1, dopo la lettera d-bis), è aggiunta la seguente lettera: «d-ter) degli accordi di separazione personale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile;».
6. Alla Tabella D), allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, dopo il punto 11 delle norme speciali inserire il seguente punto: «11-bis) Il diritto fisso da esigere da parte dei comuni all’atto della conclusione dell’accordo di separazione personale, ovvero di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, ricevuto dall’ufficiale di stato civile del comune non può essere stabilito in misura superiore all’imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio dall’articolo 4 della tabella allegato A) al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642».
7. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


CAPO IV
Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione

Articolo 13. (Modifiche al regime della compensazione delle spese).

1. All’articolo 92 del codice di procedura civile, il secondo comma è sostituito dal seguente: «Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero».
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Articolo 14. (Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione).

1. Dopo l’articolo 183 del codice di procedura civile è inserito il seguente: «183-bis (Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione). – Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’articolo 702-ter e invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria.».
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Articolo 15. (Dichiarazioni rese al difensore).
Soppresso.
Articolo 16. (Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato). 
1. All’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 le parole «dal 1º agosto al 15 settembre di ciascun anno» sono sostituite dalle seguenti: «dal 1o al 31 agosto di ciascun anno».
2. Alla legge 2 aprile 1979, n. 97, dopo l’articolo 8, è aggiunto il seguente: «Art. 8-bis (Ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato). – Fermo quanto disposto dall’articolo 1 della legge 23 dicembre 1977, n. 937, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché gli avvocati e procuratori dello Stato hanno un periodo annuale di ferie di trenta giorni.».
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 acquistano efficacia a decorrere dall’anno 2015.
4. Gli organi di autogoverno delle magistrature e l’organo dell’avvocatura dello Stato competente provvedono ad adottare misure organizzative conseguenti all’applicazione delle disposizioni dei commi 1 e 2.


CAPO V
Altre disposizioni per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali

Articolo 17. (Misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti)

1. All’articolo 1284 del codice civile dopo il terzo comma sono aggiunti i seguenti: «Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
La disposizione del quarto comma si applica anche all’atto con cui si promuove il procedimento arbitrale.».
2. Le disposizioni del comma 1 producono effetti rispetto ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Articolo 18. (Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione)

1. Al libro terzo del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’articolo 518, sesto comma, è sostituito dal seguente: « «Compiute le operazioni, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore il processo verbale, il titolo esecutivo e il precetto. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi degli atti di cui al periodo precedente, entro quindici giorni dalla consegna. La conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell’esecuzione. Sino alla scadenza del termine di cui all’articolo 497 copia del processo verbale è conservata dall’ufficiale giudiziario a disposizione del debitore. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al primo periodo del presente comma sono depositate oltre il termine di quindici giorni dalla consegna al creditore.»; b) l’articolo 543, quarto comma, è sostituito dal seguente: «Eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’originale dell’atto di citazione. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna. La conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell’esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al secondo periodo sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore.»; c) l’articolo 557 è sostituito dal seguente: « Art. 557 (Deposito dell’atto di pignoramento). – Eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari.
Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di trascrizione entro quindici giorni dalla consegna dell’atto di pignoramento. La conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo. Nell’ipotesi di cui all’articolo 555, ultimo comma, il creditore deve depositare la nota di trascrizione appena restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari.
Il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie dell’atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto sono depositate oltre il termine di quindici giorni dalla consegna al creditore.».
2. Alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, dopo l’articolo 159 è inserito il seguente: «Art. 159-bis (Nota d’iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione). – La nota d’iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione deve in ogni caso contenere l’indicazione delle parti, nonché le generalità e il codice fiscale, ove attribuito, della parte che iscrive la causa a ruolo, del difensore, della cosa o del bene oggetto di pignoramento. Il Ministro della giustizia, con proprio decreto avente natura non regolamentare, può indicare ulteriori dati da inserire nella nota di iscrizione a ruolo.»; 2-bis. Alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, dopo l’articolo 164-bis, introdotto dall’articolo 19, comma 2, lettera b), del presente decreto, è inserito il seguente: «Art. 164-ter. – (Inefficacia del pignoramento per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo). – Quando il pignoramento è divenuto inefficace per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo nel termine stabilito, il creditore entro cinque giorni dalla scadenza del termine ne fa dichiarazione al debitore e all’eventuale terzo, mediante atto notificato. In ogni caso ogni obbligo del debitore e del terzo cessa quando la nota di iscrizione a ruolo non è stata depositata nei termini di legge.
La cancellazione della trascrizione del pignoramento si esegue quando è ordinata giudizialmente ovvero quando il creditore pignorante dichiara, nelle forme richieste dalla legge, che il pignoramento è divenuto inefficace per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo nel termine stabilito».
3. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 2-bis si applicano ai procedimenti esecutivi iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.
4. All’articolo 16-bis, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «A decorrere dal 31 marzo 2015, il deposito nei procedimenti di espropriazione forzata della nota di iscrizione a ruolo ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Unitamente alla nota di iscrizione a ruolo sono depositati, con le medesime modalità, le copie conformi degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma, del codice di procedura civile. Ai fini del presente comma, il difensore attesta la conformità delle copie agli originali, anche fuori dai casi previsti dal comma 9-bis.».

Articolo 19. (Misure per l’efficienza e la semplificazione del processo esecutivo).

1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 26, il secondo comma è sostituito dal seguente: «Per l’esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede»; b) dopo l’articolo 26 è inserito il seguente: «Art. 26-bis (Foro relativo all’espropriazione forzata di crediti). – Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413, quinto comma, per l’espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
Fuori dei casi di cui al primo comma, per l’espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.»; c) all’articolo 492 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) il settimo comma è abrogato; 2) all’ottavo comma, le parole «negli stessi casi di cui al settimo comma e» sono soppresse; d) dopo l’articolo 492 è inserito il seguente: «Art. 492-bis (Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare). – Su istanza del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’istanza deve contenere l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ordinaria ed il numero di fax del difensore nonché, ai fini dell’articolo 547, dell’indirizzo di posta elettronica certificata.
Fermo quanto previsto dalle disposizioni in materia di accesso ai dati e alle informazioni degli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 8 della legge 1º aprile 1981, n. 121, con l’autorizzazione di cui al primo comma il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato dispone che l’ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Terminate le operazioni l’ufficiale giudiziario redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze.
Se l’accesso ha consentito di individuare cose che si trovano in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell’ufficiale giudiziario, quest’ultimo accede agli stessi per provvedere d’ufficio agli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520. Se i luoghi non sono compresi nel territorio di competenza di cui al periodo precedente, copia autentica del verbale è rilasciata al creditore che, entro quindici giorni dal rilascio a pena d’inefficacia della richiesta, la presenta, unitamente all’istanza per gli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520, all’ufficiale giudiziario territorialmente competente.
L’ufficiale giudiziario, quando non rinviene una cosa individuata mediante l’accesso nelle banche dati di cui al secondo comma, intima al debitore di indicare entro quindici giorni il luogo in cui si trova, avvertendolo che l’omessa o la falsa comunicazione è punita a norma dell’articolo 388, sesto comma, delcodice penale.
Se l’accesso ha consentito di individuare crediti del debitore o cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi, l’ufficiale giudiziario notifica d’ufficio, ove possibile a norma dell’articolo 149-bis o a mezzo telefax, al debitore e al terzo il verbale, che dovrà anche contenere l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto, dell’indirizzo di posta elettronica certificata di cui al primo comma, del luogo in cui il creditore ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere residente, dell’ingiunzione, dell’invito e dell’avvertimento al debitore di cui all’articolo 492, primo, secondo e terzo comma, nonché l’intimazione al terzo di non disporre delle cose o delle somme dovute, nei limiti di cui all’articolo 546. Il verbale di cui al presente comma è notificato al terzo per estratto, contenente esclusivamente i dati a quest’ultimo riferibili.
Quando l’accesso ha consentito di individuare più crediti del debitore o più cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.
Quando l’accesso ha consentito di individuare sia cose di cui al terzo comma che crediti o cose di cui al quinto comma, l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.»; d-bis) all’articolo 503 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «L’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell’articolo 568»; d-ter) dopo l’articolo 521 è inserito il seguente: «Art. 521-bis. – (Pignoramento e custodia di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi). – Il pignoramento di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale si indicano esattamente, con gli estremi richiesti dalla legge speciale per la loro iscrizione nei pubblici registri, i beni e i diritti che si intendono sottoporre ad esecuzione, e gli si fa l’ingiunzione prevista nell’articolo 492. Il pignoramento contiene altresì l’intimazione a consegnare entro dieci giorni i beni pignorati, nonché i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso dei medesimi, all’istituto vendite giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario nel quale è compreso il luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori comprese le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso.
Al momento della consegna l’istituto vendite giudiziarie assume la custodia del bene pignorato e ne dà immediata comunicazione al creditore pignorante a mezzo posta elettronica certificata ove possibile.
Decorso il termine di cui al primo comma, gli organi di polizia che accertano la circolazione dei beni pignorati procedono al ritiro della carta di circolazione nonché, ove possibile, dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà e all’uso dei beni pignorati e consegnano il bene pignorato all’istituto vendite giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario nel quale è compreso il luogo in cui il bene pignorato è stato rinvenuto. Si applica il terzo comma.
Eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento perché proceda alla trascrizione nei pubblici registri. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al terzo comma, il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di trascrizione. La conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo.
Il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie dell’atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto sono depositate oltre il termine di cui al quinto comma.
Si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente capo»; e) all’articolo 543 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al primo comma, la parola «personalmente» è soppressa; 2) al secondo comma, il numero 4) è sostituito dal seguente: «4) la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l’invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all’articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata; con l’avvertimento al terzo che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un’apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell’ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione»; 3) dopo il quarto comma è inserito il seguente: «Quando procede a norma dell’articolo 492-bis, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni di cui al quarto comma. Decorso il termine di cui all’articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere l’assegnazione o la vendita delle cose mobili o l’assegnazione dei crediti. Sull’istanza di cui al periodo precedente il giudice fissa l’udienza per l’audizione del creditore e del debitore e provvede a norma degli articoli 552 o 553. Il decreto con cui viene fissata l’udienza di cui al periodo precedente è notificato a cura del creditore procedente e deve contenere l’invito e l’avvertimento al terzo di cui al numero 4) del secondo comma.»; f) all’articolo 547, il primo comma è sostituito dal seguente: «Con dichiarazione a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.»; g) all’articolo 548, sono apportate le seguenti modificazioni: 1) il primo comma è abrogato; 2) il secondo comma è sostituito dal seguente: «Quando all’udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un’udienza successiva. L’ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553.»; h) soppressa; h-bis) all’articolo 569, terzo comma, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: «Il giudice con la medesima ordinanza stabilisce le modalità con cui deve essere prestata la cauzione e fissa, al giorno successivo alla scadenza del termine, l’udienza per la deliberazione sull’offerta e per la gara tra gli offerenti di cui all’articolo 573. Il giudice provvede ai sensi dell’articolo 576 solo quando ritiene probabile che la vendita con tale modalità possa aver luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell’articolo 568»; h-ter) all’articolo 572, terzo comma, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Se l’offerta è inferiore a tale valore il giudice non può far luogo alla vendita quando ritiene probabile che la vendita con il sistema dell’incanto possa aver luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene determinato a norma dell’articolo 568»; i) l’articolo 609 è sostituito dal seguente: «Art. 609 (Provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione). – Quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, l’ufficiale giudiziario intima alla parte tenuta al rilascio ovvero a colui al quale gli stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine. Dell’intimazione si dà atto a verbale ovvero, se colui che è tenuto a provvedere all’asporto non è presente, mediante atto notificato a spese della parte istante. Quando entro il termine assegnato l’asporto non è stato eseguito l’ufficiale giudiziario, su richiesta e a spese della parte istante, determina, anche a norma dell’articolo 518, primo comma, il presumibile valore di realizzo dei beni ed indica le prevedibili spese di custodia e di asporto.
Quando può ritenersi che il valore dei beni è superiore alle spese di custodia e di asporto, l’ufficiale giudiziario, a spese della parte istante, nomina un custode e lo incarica di trasportare i beni in altro luogo. Il custode è nominato a norma dell’articolo 559. In difetto di istanza e di pagamento anticipato delle spese i beni, quando non appare evidente l’utilità del tentativo di vendita di cui al quinto comma, sono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario, salva diversa richiesta della parte istante, ne dispone lo smaltimento o la distruzione.
Se sono rinvenuti documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale che non sono stati asportati a norma del primo comma, gli stessi sono conservati, per un periodo di due anni, dalla parte istante ovvero, su istanza e previa anticipazione delle spese da parte di quest’ultima, da un custode nominato dall’ufficiale giudiziario. In difetto di istanza e di pagamento anticipato delle spese si applica, in quanto compatibile, quanto previsto dal secondo comma, ultimo periodo. Allo stesso modo si procede alla scadenza del termine biennale di cui al presente comma a cura della parte istante o del custode.
Decorso il termine fissato nell’intimazione di cui al primo comma, colui al quale i beni appartengono può, prima della vendita ovvero dello smaltimento o distruzione dei beni a norma del secondo comma, ultimo periodo, chiederne la consegna al giudice dell’esecuzione per il rilascio. Il giudice provvede con decreto e, quando accoglie l’istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese e compensi per la custodia e per l’asporto.
Il custode provvede alla vendita senza incanto nelle forme previste per la vendita dei beni mobili pignorati, secondo le modalità disposte dal giudice dell’esecuzione per il rilascio. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 530 e seguenti del codice di procedura civile. La somma ricavata è impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi per la custodia, per l’asporto e per la vendita, liquidate dal giudice dell’esecuzione per il rilascio. Salvo che i beni appartengano ad un soggetto diverso da colui che è tenuto al rilascio, l’eventuale eccedenza è utilizzata per il pagamento delle spese di esecuzione liquidate a norma dell’articolo 611.
In caso di infruttuosità della vendita nei termini fissati dal giudice dell’esecuzione, si procede a norma del secondo comma, ultimo periodo.
Se le cose sono pignorate o sequestrate, l’ufficiale giudiziario dà immediatamente notizia dell’avvenuto rilascio al creditore su istanza del quale fu eseguito il pignoramento o il sequestro, e al giudice dell’esecuzione per l’eventuale sostituzione del custode.»; 2. Alle disposizioni per l’attuazione al codice di procedura civile, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo l’articolo 155 sono inseriti i seguenti: « «Art. 155-bis (Archivio dei rapporti finanziari). – Per archivio dei rapporti finanziari di cui all’articolo 492-bis, secondo comma, del codice si intende la sezione di cui all’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605.
Art. 155-ter (Partecipazione del creditore alla ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche). – La partecipazione del creditore alla ricerca dei beni da pignorare di cui all’articolo 492-bis del codice ha luogo a norma dell’articolo 165 di queste disposizioni.
Nei casi di cui all’articolo 492-bis, sesto e settimo comma, l’ufficiale giudiziario, terminate le operazioni di ricerca dei beni con modalità telematiche, comunica al creditore le banche dati interrogate e le informazioni dalle stesse risultanti a mezzo telefax o posta elettronica anche non certificata, dandone atto a verbale. Il creditore entro dieci giorni dalla comunicazione indica all’ufficiale giudiziario i beni da sottoporre ad esecuzione; in mancanza la richiesta di pignoramento perde efficacia.
Art. 155-quater (Modalità di accesso alle banche dati). – Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia e delle finanze e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono individuati i casi, i limiti e le modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche dati di cui al secondo comma dell’articolo 492-bis del codice, nonché le modalità di trattamento e conservazione dei dati e le cautele a tutela della riservatezza dei debitori. Con il medesimo decreto sono individuate le ulteriori banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere, che l’ufficiale giudiziario può interrogare tramite collegamento telematico diretto o mediante richiesta al titolare dei dati.
Il Ministro della giustizia può procedere al trattamento dei dati acquisiti senza provvedere all’informativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
È istituito, presso ogni ufficio notifiche, esecuzioni e protesti, il registro cronologico denominato “Modello ricerca beni”, conforme al modello adottato con il decreto del Ministro della giustizia di cui al primo comma.
L’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo 492-bis del codice e a quelle individuate con il decreto di cui al primo comma è gratuito. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche all’accesso effettuato a norma dell’articolo 155-quinquies di queste disposizioni. Art. 155-quinquies (Accesso alle banche dati tramite i gestori). – Quando le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo 492-bis del codice e a quelle individuate con il decreto di cui all’articolo 155-quater, primo comma, non sono funzionanti, il creditore procedente, previa autorizzazione a norma dell’articolo 492-bis, primo comma, del codice, può ottenere dai gestori delle banche dati previste dal predetto articolo e dall’articolo 155-quater di queste disposizioni le informazioni nelle stesse contenute.».
Art. 155-sexies. – (Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare). – Le disposizioni in materia di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare si applicano anche per l’esecuzione del sequestro conservativo e per la ricostruzione dell’attivo e del passivo nell’ambito di procedure concorsuali di procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui »; b) al titolo IV, capo I, dopo l’articolo 164 è aggiunto il seguente: «Art. 164-bis (Infruttuosità dell’espropriazione forzata). – Quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo.».
3. Al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 13, dopo il comma 1-quater è inserito il seguente: «1-quinquies. Per il procedimento introdotto con l’istanza di cui all’articolo 492- bis, primo comma, del codice di procedura civile il contributo dovuto è pari ad euro 43 e non si applica l’articolo 30»; b) all’articolo 14, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: «1-bis. La parte che fa istanza a norma dell’articolo 492-bis, primo comma, del codice di procedura civile è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato.»; 4. Al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 107, secondo comma, dopo le parole «sono addetti» sono aggiunte le seguenti: «, del verbale di cui all’articolo 492-bis del codice di procedura civile»; b) all’articolo 122, dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti: «Quando si procede alle operazioni di pignoramento presso terzi a norma dell’articolo 492-bis del codice di procedura civile o di pignoramento mobiliare, gli ufficiali giudiziari sono retribuiti mediante un ulteriore compenso, che rientra tra le spese di esecuzione ed è dimezzato nel caso in cui le operazioni non vengano effettuate entro quindici giorni dalla richiesta, stabilito dal giudice dell’esecuzione: a) in una percentuale del 5 per cento sul valore di assegnazione o sul ricavato della vendita dei beni mobili pignorati fino ad euro 10.000,00, in una percentuale del 2 per cento sul ricavato della vendita o sul valore di assegnazione dei beni mobili pignorati da euro 10.001,00 fino ad euro 25.000,00 e in una percentuale del 1 per cento sull’importo superiore; b) in una percentuale del 6 per cento sul ricavato della vendita o sul valore di assegnazione dei beni e dei crediti pignorati ai sensi degli articoli 492-bis del codice di procedura civile fino ad euro 10.000,00, in una percentuale del 4 per cento sul ricavato della vendita o sul valore di assegnazione dei beni e dei crediti pignorati da euro 10.001,00 fino ad euro 25.000,00 ed in una percentuale del 3 per cento sull’importo superiore.
In caso di conversione del pignoramento ai sensi dell’articolo 495 del codice di procedura civile, il compenso è determinato secondo le percentuali di cui alla lettera a) ridotte della metà, sul valore dei beni o dei crediti pignorati o, se maggiore, sull’importo della somma versata.
In caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo il compenso è posto a carico del creditore procedente ed è liquidato dal giudice dell’esecuzione nella stessa percentuale di cui al comma precedente calcolata sul valore dei beni pignorati o, se maggiore, sul valore del credito per cui si procede.
5. All’articolo 7, nono comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, è inserito, in fine, il seguente periodo: «Le informazioni comunicate sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria ai fini della ricostruzione dell’attivo e del passivo nell’ambito di procedure concorsuali, di procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui.
Nei casi di cui al periodo precedente l’autorità giudiziaria si avvale per l’accesso dell’ufficiale giudiziario secondo le disposizioni relative alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.».
6. L’articolo 155-quinquies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introdotto dal comma 2, lettera a), del presente articolo, si applica anche ai procedimenti di cui al comma 5.
6-bis. Le disposizioni del presente articolo, fatta eccezione per quelle previste al comma 2, lettera a), limitatamente alle disposizioni di cui all’articolo 155-sexies, e lettera b), e al comma 5, si applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Articolo 19-bis. (Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere).

1. Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio, le somme a disposizione dei soggetti di cui all’articolo 21, comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 5, depositate su conti correnti bancari o postali, in relazione ai quali il capo della rappresentanza, del posto consolare o il direttore, comunque denominato, dell’organizzazione internazionale in Italia, con atto preventivamente comunicato al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e all’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria presso cui le medesime somme sono depositate, ha dichiarato che il conto contiene esclusivamente somme destinate all’espletamento delle funzioni dei soggetti di cui al presente comma.
2. Effettuate le comunicazioni di cui al comma 1 non possono eseguirsi pagamenti per titoli diversi da quelli per cui le somme sono vincolate.
3. Il pignoramento non determina a carico dell’impresa depositaria l’obbligo di accantonamento delle somme di cui al comma 1, ivi comprese quelle successivamente accreditate, e i soggetti di cui al comma 1 mantengono la piena disponibilità delle stesse.

Articolo 20. (Monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche)

1. All’articolo 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, dopo il comma 9-ter, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: «9-ter. Unitamente all’istanza di cui all’articolo 119, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il curatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall’articolo 33, quinto comma, del medesimo regio decreto. Conclusa l’esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, si procede a norma del periodo precedente, sostituendo il liquidatore al curatore.
9-quinquies. Il commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui all’articolo 172, primo comma, del predetto regio decreto redige un rapporto riepilogativo secondo quanto previsto dall’articolo 33, quinto comma, dello stesso regio decreto e lo trasmette ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo comma, del predetto regio decreto. Conclusa l’esecuzione del concordato si applica il comma 9-quater, sostituendo il commissario al curatore.
9-sexies. Entro dieci giorni dall’approvazione del progetto di distribuzione, il professionista delegato a norma dell’articolo 591-bis del codice di procedura civile deposita un rapporto riepilogativo finale delle attività svolte. 9-septies. 9-sexies. I rapporti riepilogativi periodici e finali previsti per le procedure concorsuali e il rapporto riepilogativo finale previsto per i procedimenti di esecuzione forzata devono essere depositati con modalità telematiche nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, nonché delle apposite specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. I relativi dati sono estratti ed elaborati, a cura del Ministero della giustizia, anche nell’ambito di rilevazioni statistiche nazionali.».
2. Al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 40, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: «1-bis. Il commissario straordinario, redige ogni sei mesi una relazione sulla situazione patrimoniale dell’impresa e sull’andamento della gestione in conformità a modelli standard stabiliti con decreto, avente natura non regolamentare, del Ministero dello sviluppo economico. La relazione di cui al periodo precedente è trasmessa al predetto Ministero con modalità telematiche.».
b) all’articolo 75, al comma 1, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Il bilancio finale della procedura e il conto della gestione sono redatti in conformità a modelli standard stabiliti con decreto, avente natura non regolamentare, del Ministero di cui al periodo che precede, al quale sono sottoposti con modalità telematiche.».
3. I dati risultanti dai rapporti riepilogativi periodici e finali di cui agli articoli 40 e 75, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, sono estratti ed elaborati, a cura del Ministero dello sviluppo economico, nell’ambito di rilevazioni statistiche nazionali.
4. Per l’attuazione delle disposizioni del commi 1 e 2 il Ministero competente provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.».
5. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche alle procedure concorsuali ed ai procedimenti di esecuzione forzata pendenti, a decorrere dal novantesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento contenente le specifiche tecniche di cui all’articolo 16-bis, comma 9-septies, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012.
6. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano, anche alle procedure di amministrazione straordinaria pendenti, a decorrere dal novantesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti previsti all’articolo 40, comma 1-bis, e 75, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270.


CAPO VI
Misure per il miglioramento dell’organizzazione giudiziaria

Articolo 21. (Disposizioni in tema di tramutamenti successivi dei magistrati).

1. Al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, dopo l’articolo 10 è aggiunto il seguente: «Art. 10-bis (Termine per l’assunzione delle funzioni in caso di tramutamenti successivi). – Il Consiglio superiore della magistratura espleta, di regola due volte all’anno, le procedure di tramutamento successivo dei magistrati e le definisce entro quattro mesi.
Il Ministro della giustizia adotta un solo decreto per tutti i magistrati tramutati nell’ambito della medesima procedura indetta con unica delibera del Consiglio superiore della magistratura.
Il Consiglio superiore della magistratura, nel disporre il tramutamento che comporta o rende più grave una scopertura del trentacinque per cento dell’organico dell’ufficio giudiziario di appartenenza del magistrato interessato alla procedura, delibera la sospensione dell’efficacia del provvedimento sino alla delibera di copertura del posto lasciato vacante. La sospensione dell’efficacia di cui al periodo che precede cessa comunque decorsi sei mesi dall’adozione della delibera. Il presente comma non si applica quando l’ufficio di destinazione oggetto della delibera di tramutamento ha una scopertura uguale o superiore alla percentuale di scopertura dell’ufficio di provenienza.
Si applicano le disposizioni dell’articolo 10.».
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle procedure di tramutamento avviate con delibera del Consiglio superiore della magistratura adottata successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Articolo 21-bis.(Istituzione dell’ufficio del giudice di pace di Ostia e ripristino dell’ufficio del giudice di pace di Barra).

1. Al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, sono apportate le seguenti modificazioni: a) la tabella A è sostituita dalla tabella di cui all’allegato 1 del presente decreto; b) la tabella B è sostituita dalla tabella di cui all’allegato 2 del presente decreto.
2. Alla legge 21 novembre 1991, n. 374, la tabella A è sostituita dalla tabella di cui all’allegato 3 del presente decreto.
3. Con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinate le piante organiche del personale di magistratura onoraria degli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra e sono altresì apportate le necessarie variazioni alle piante organiche degli altri uffici del giudice di pace.
4. Il Consiglio superiore della magistratura definisce, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la procedura di trasferimento dei magistrati onorari destinati agli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra.
5. Con decreto del Ministro della giustizia, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinate le piante organiche del personale amministrativo degli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra e sono altresì apportate le necessarie variazioni alle piante organiche degli altri uffici del giudice di pace.
6. Alla copertura dell’organico del personale amministrativo degli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento. A coloro i quali, alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, prestavano servizio presso gli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra, è attribuita preferenza assoluta ai fini del trasferimento previsto dal presente comma.
7. Con decreto del Ministro della giustizia è fissata la data di inizio del funzionamento degli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra.
8. Gli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra sono competenti per i procedimenti civili e penali introdotti successivamente alla data di cui al comma 7. I procedimenti penali si considerano introdotti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.
9. Per le spese di funzionamento degli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra è autorizzata la spesa di euro 317.000 a decorrere dall’anno 2015.


CAPO VII
Disposizione finali

Articolo 22. (Disposizioni finanziarie)

1. Alle minori entrate derivanti dalle disposizioni di cui agli articoli 3, 6 e 12 del presente decreto, valutate in euro 4.364.500 annui, e agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui agli articoli 18, 20 e 21-bis del presente decreto, pari a euro 550.000 per l’anno 2014 e a euro 417.000 a decorrere dall’anno 2015, si provvede: a) quanto ad euro 550.000 per l’anno 2014, ad euro 481.500 per l’anno 2015 e ad euro 100.000 a decorrere dall’anno 2016, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307; b) quanto ad euro 381.500 a decorrere dall’anno 2016, mediante corrispondente riduzione della proiezione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2014-2016, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2014, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; c) quanto a 4,3 milioni di euro annui mediante utilizzo delle maggiori entrate di cui all’articolo 19 del presente decreto.
2. Ai sensi dell’articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro della giustizia provvede al monitoraggio semestrale delle minori entrate derivanti dall’attuazione del presente decreto e riferisce in merito al Ministro dell’economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede all’aumento degli importi del contributo unificato di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’articolo 19, comma 3, del presente decreto, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall’attività di monitoraggio.
3. ll Ministro dell’economia e delle finanze riferisce, senza ritardo, alle Camere, con apposita relazione, in merito alle cause degli scostamenti e all’adozione delle misure di cui al secondo periodo del comma 2.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.Articolo 23. (Entrata in vigore) 
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Con il via libera della Camera, il decreto giustizia è diventato legge dello Stato.
317 i voti a favore e 182 i contrari (oltre ai 5 astenuti), hanno fatto passare il provvedimento, che è arrivato in aula “blindato” dalla fiducia di martedì scorso, producendo, dati i tempi stretti della scadenza, un esito praticamente scontato.
Stanno, quindi, per diventare operative, le principali novità in materia di processo civile, sospese a causa della transitorietà prevista nel testo originario del d.l. n. 132/2014 che subordinava l’entrata in vigore di diverse norme al momento della conversione piena. 
Nel testo approvato in via definitiva dalla Camera, immutato rispetto alle modifiche apportate dal Senato al ddl di conversione, si ritrovano, infatti, la maggior parte delle misure previste nell’impianto originario del decreto, fatta eccezione per la possibilità di escutere i testi fuori dal processo.
L’art. 15 del d.l. n. 132/2014 che introduceva l’art. 257-ter al codice di procedura civile, con la previsione della possibilità di rendere dichiarazioni scritte al difensore, previa attestazione di autenticità da parte dello stesso, al fine di abbreviare i tempi delle udienze, è stato, difatti, soppresso in sede di esame a Palazzo Madama.
Di seguito, tutte le novità della riforma che diventeranno pienamente operative nei prossimi giorni, ad effetto immediato ovvero decorsi trenta giorni dalla pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale, in base alla time-line originariamente prevista dall’esecutivo nel testo del d.l.:

  • Trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti, sia in primo che in secondo grado; escluso per le cause inerenti i diritti indisponibili e quelle in materia di lavoro. Il lodo avrà valore di sentenza e dovrà essere pronunciato entro 240 gg. (120 se in appello), altrimenti la causa va riassunta entro 60 gg. davanti al giudice, pena l’estinzione;
  • Negoziazione assistita estesa anche alla separazione e al divorzio e consentita anche in presenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. In questo caso, l’accordo dovrà essere trasmesso, entro 10 gg., al p.m. presso il tribunale competente che dovrà autorizzarlo in quanto rispondente all’interesse dei figli. Analoga previsione è stata inserita, in sede di conversione, anche in assenza di figli minori: l’accordo dovrà, infatti, essere necessariamente trasmesso al p.m. presso il tribunale competente per un controllo di regolarità e conseguente rilascio del nullaosta. Superati questi passaggi, la convenzione produrrà gli effetti dei procedimenti giudiziali e saranno gli avvocati delle parti a dover trasmettere copia autentica dell’accordo all’ufficiale di stato civile del comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, pena sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro (ridotta rispetta al testo originario che prevedeva un massimo di 50.000 euro);
  • Possibilità di concludere accordi di separazione o divorzio anche davanti al sindaco, consentita soltanto in assenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti. In sede di conversione, allo scopo di promuovere una riflessione più ponderata sulle decisioni dei coniugi, è stato introdotto un doppio passaggio (fatta eccezione per l’accordo riguardante la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio): dopo l’accordo, infatti, il sindaco dovrà invitare i coniugi a comparire davanti a sé entro trenta giorni per la conferma; l’eventuale mancata presentazione degli stessi vale come mancata conferma;
  • Misure funzionali per il processo civile di cognizione, tra le quali spiccano la più ristretta delimitazione delle ipotesi (soccombenza reciproca, novità assoluta della questione trattata e mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti) in cui il giudice può ricorrere allacompensazione delle spese tra le parti, al fine di disincentivare i casi di c.d. “abuso del processo”; il passaggio d’ufficio dal rito ordinario a quello sommario per le cause di minore complessità; la riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali (da 45 a 31 giorni, ovvero dall’1 al 31 agosto di ogni anno) e l’analoga riduzione delle ferie dei magistrati;
  • Misure di semplificazione del processo esecutivo e per la tutela del credito, tra cui rilevano l’incremento del tasso di interesse moratorio, nel caso di ritardi nei pagamenti nei contenziosi civili o nei procedimenti arbitrali dall’1 all’8,15%; la possibilità di accesso per il creditore alle banche dati online della P.A. per l’individuazione più agevole dei beni in possesso dal debitore ai fini del pignoramento; la nuova forma di pignoramento dei veicoli introdotta dall’art. 521-bis c.p.c. e le modifiche alla dichiarazione del terzo nell’espropriazione presso terzi che potrà essere resa in ogni caso (senza più necessità di comparizione in udienza per i crediti impignorabili di cui all’art. 545 c.p.c.) a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata; l’impignorabilità dei depositi bancari o postali a disposizione delle rappresentanze diplomatiche; l’introduzione dell’obbligo di deposito telematico di una serie di rapporti riepilogativi nell’ambito delle procedure concorsuali; ecc.;
  • Misure di riorganizzazione giudiziaria, con la previsione di tempi più ridotti per la scopertura dei posti vacanti, all’esito del tramutamento orizzontale dei magistrati (ovvero delle procedure di trasferimenti successivi all’assegnazione alla sede dopo il tirocinio iniziale) e il ripristino degli uffici del giudice di pace di Ostia e Barra, soppressi in seguito alla riforma della geografia giudiziaria. 

Ora sarà la tua Banca a denunciarti al fisco

Cade il segreto bancario: dopo l’anagrafe dei conti arriva il Cartellino Fiscale, la targa gli istituti di credito riveleranno all’amministrazione fiscale tutte le informazioni relative a saldi, attività finanziarie, interessi, dividendi.

 Spiati a casa propria. Sono finiti i tempi in cui la banca era un alleato del proprio cliente e, una volta impartitole un ordine di pagamento o di accredito, eseguiva l’operazione nella massima segretezza per tutelare il correntista. Il segreto bancario è ormai un ricordo. In questo autunno peraltro c’è stata una vera e propria accelerazione su tutti i fronti del grimaldello che riduce i margini del segreto: lo scambio automatico di informazioni tra Stati. Le ultime norme e convenzioni internazionali hanno trasformato gli istituti di credito in veri e propri agenti segreti del fisco. La rivoluzione, partita esattamente un anno fa con l’Anagrafe dei conti correnti, si è appena evoluta con il Facta (l’accordo con gli USA per lo scambio di informazioni e dati sui soggetti a rischio evasione) e il Crs (Common Reporting Standard), un nuovissimo modello per lo scambio di informazioni tra i paesi dell’Ocse. Vediamo meglio di cosa si tratta, distinguendo a seconda che l’attività di “spionaggio” della banca sia fatta sui conti in Italia o all’estero.

In Italia

A partire dal 31 ottobre 2013, a tutte le banche è stato imposto di comunicare, in tempo reale, al maxi computer dell’Agenzia delle Entrate (cosiddetta “Anagrafe dei conti correnti”), ogni singolo dettaglio dei conti correnti del cittadino. Non solo, quindi, l’esistenza del rapporto in essere con la banca, ma anche le relative consistenze, il saldo annuale e ogni singolo movimento di prelievo versamento. Ed ancora la presenza di carte di debito o di credito, certificati di deposito, buoni fruttiferi, acquisti di oro e metalli preziosi, cassette di sicurezza.
Insomma, ogni operazione che i contribuenti faranno su un conto corrente bancario o postale sarà, lo stesso giorno, comunicata all’Amministrazione fiscale la quale, a sua volta, potrà utilizzarla in qualsiasi momento per effettuare controlli fiscali. Così, per esempio, nel caso di presentazione di Isee per verificare se le dichiarazioni del contribuente corrispondano a vero; o, ancora più frequentemente, nel caso di controllo della dichiarazione dei redditi che verrà confrontata con le disponibilità in conto, per il vaglio di compatibilità.
Soggetti tenuti a tali comunicazioni non sono solo gli istituti di credito, ma anche Poste Italiane, gli organismi di investimento e le società di gestione del risparmio.

Scambio di dati tra Stati

Nell’ultimo anno si sono moltiplicati gli accordi internazionali per il controllo globale dei conti correnti. Le prime scadenze delle banche sono quelle relative al cosiddetto FACTA, l’accordo con gli Usa per lo scambio di informazioni. Ad esso si affianca una disciplina molto stringente dell’Unione Europea, che pure di recente ha ricevuto un’ulteriore accelerazione. Lo scorso 14 ottobre infatti l’Ecofin ha raggiunto un accordo per la revisione di una direttiva del 2011 per allargare il raggio di azione della cooperazione internazionale tra gli stati.
Ma un’altra sigla importante per chi ha soldi all’estero, capace di far tremare anche gli evasori più smaliziati, è quella di Crs(Common reporting standard), il modello per lo scambio di informazioni tra gli stati a livello Ocse, per il quale sono già in pista di partenza 51 Stati (nel 2018 il numero salirà a circa 90).
In pratica, ad ogni correntista, nel biennio 2016-2017, verrà infatti attribuito il cosiddetto “Cartellino Fiscale”,una sorta di etichetta che lo renderà identificabile presso l’amministrazione finanziaria. E ad attribuire la targa saranno proprio gli intermediari finanziari come le banche, le finanziarie e le Poste.
A questi, infatti, sarà demandato il compito di trasmettere alle autorità fiscali nazionali tutte le informazioni relative a saldi di conto, contro valori di vendita delle attività finanziarie, interessi, dividendi e tutti i dati dell’investitore stesso sia persona fisica, sia persona giuridica, per tutti i rapporti in essere prima e dopo il 31 dicembre 2015. Il tutto anche al fine di individuare i capital gain sulle compravendite di attività finanziarie.
Non solo. Gli intermediari avranno anche il compito di effettuare una sorta di valutazione preventiva sulla qualità del correntista in modo che l’amministrazione finanziaria sia già in possesso di un bussola per orientare eventuali controlli.
Il Common reporting standard porrà definitivamente fine al segreto bancario. I suoi “segreti” sono stati illustrati, ieri, da David Pitaro, membro del dipartimento delle politiche fiscali per il Ministero dell’economia e delle finanze, nel corso del seminario per il Contrasto all’evasione fiscale che si è svolto presso la Commissione finanze della Camera.
Uno dei punti di forza del sistema è quello di essere standardizzato e, quindi, di essere in grado da un lato di intercettare un gran numero di redditi, di consistenze e di capitali infruttiferi, dall’altro lato di impedire agli investitori di nascondersi dietro i veicoli.
Il Crs entrerà a regime all’interno della legislazione europea a partire dal 1 gennaio 2016.

Residenze fiscali allo scoperto

È in arrivo la mappa delle residenze fiscali dei titolari di conti finanziari. Banche e intermediari finanziari saranno tenuti – in forza di un provvedimento di prossima emanazione – a raccogliere tutte le informazioni necessarie per far emergere la residenza fiscale dei contribuenti – sia persone fisiche che giuridiche – titolari di conti correnti.
Se dai risultati della verifica emergerà che il soggetto detiene la residenza fiscale in uno dei Paesi aderenti al Crs scatterà la condivisione automatica dei dati con l’Amministrazione finanziaria nazionale dell’intermediario. A quest’ultima spetterà il compito di condividere le informazioni ricevute con il fisco dello Stato di residenza dell’investitore.
 

Negoziazione Assistita – Diventà una realtà

Accordi tra le parti, procedura e fac-simile di convenzione.

Con la recente riforma della giustizia, è stata concessa alle parti la facoltà di (e quindi non l’obbligatorietà) di utilizzare “la convenzione di negoziazione assistita” prima dell’instaurazione di un procedimento civile. Sappiamo, invece, che, in alcuni casi, essa è invece obbligatoria e condizione di procedibilità dell’azione in tribunale. Tali casi sono tutte le controversie che concernono:

  • risarcimenti per sinistri stradali (più precisamente “per danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti)
  • richiesta di pagamento (a qualsiasi titolo) per somme fino a 50mila euro, salvo rientri in una delle materie per cui è obbligatoria la mediazione.

Al contrario, la negoziazione assistita facoltativa può avvenire in qualsiasi altra materia a condizione che:

  • riguardi diritti indisponibili
  • non riguardi materie per cui è prevista la mediazione obbligatoria;
  • non riguardi materia di lavoro.

Quanto alla procedura, essa necessita della firma di due diversi contratti:

1. La convenzione di negoziazione assistita vera e propria

Si tratta del contratto con cui le parti si impegnano a “cooperare in buona fede e con lealtà” per il possibile raggiungimento di un accordo. Deve essere necessariamente scritto (a pena di nullità). Con la convenzione di negoziazione assistita le parti si impegnano in un arco temporale ben definito (comunque scelto dalle stesse parti, seppur all’interno di un periodo che non deve essere inferiore al mese e superiore ai tre mesi) a lavorare insieme per il possibile raggiungimento di un accordo. La convenzione è conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati: e ciò a differenza di quanto avviene nella negoziazione assistita in materia di famiglia (per separazioni, divorzi o revisioni delle condizioni), dove invece è strettamente necessario un avvocato per parte. In verità su questo punto, la norma non è sufficientemente chiara; pertanto occorrerà attendere i successivi chiarimenti per fornire un’indicazione più precisa. Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale. Gli avvocati hanno il dovere deontologico di dare informazione al cliente, all’atto di conferimento dell’incarico, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita. L’avvocato certifica l’autografia della firma apposta dal proprio assistito anche nella procedura dell’invito a stipulare la convenzione.

2. L’accordo stesso che risolve la controversia (se raggiunto)

Tale accordo non deve necessariamente essere una transazione, in quanto non è detto che le parti si debbano fare reciproche concessioni e trovare, per così dire, un incontro “a metà”, ben potendo essere che i mediatori riconoscano la ragione solo a una delle due parti.
In caso di mancato accordo le parti non potranno utilizzare le informazioni ricevute nelle trattative ed eventualmente chiamare a testimoniare l’avvocato e/o gli avvocati che hanno partecipato alla procedura. L’avvocato sottoscrive l’accordo raggiunto dalle parti. Gli avvocati certificano l’autografia delle firme apposte nell’accordo nonché certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Il legale contravviene alle norme deontologiche se impugna un accordo alla cui redazione ha partecipato.Se non si raggiunge un’intesa tra le parti, gli avvocati certificano la dichiarazione di mancato accordo.

3. La procedura

A differenza di quanto avviene nella negoziazione assistita obbligatoria, l’invito che una parte rivolge all’altra a stipulare la negoziazione non sembra essere necessario, e ciò perché le sanzioni che conseguono alla mancata risposta o al rifiuto (tale comportamento, infatti, può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio) non avrebbero senso nella negoziazione facoltativa. Salvo tale precisazione, sembra non esserci ragioni per escludere l’uguaglianza, a livello procedurale, tra le due figure.

4. Effetti dell’accordo

L’accordo raggiunto dalle parti ha efficacia esecutiva al pari di una sentenza o degli altri titoli esecutivi. Quindi, in caso di inadempimento della controparte, non sarà necessario ricorrere al giudice al fine di ottenere una nuova sentenza utile per richiedere l’intervento dell’ufficiale giudiziario. L’accordo costituisce altresì titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Di fatto vi è una parificazione, quanto agli effetti, a quanto già stabilito con la mediazione.
All’accordo raggiunto non dovrà essere apposta la formula esecutiva.
Per la trascrizione invece nei pubblici registri dell’accordo, ovviamente nei casi in cui si può trascrivere un atto, serve l’autenticazione delle sottoscrizioni apposte sull’accordo da un pubblico ufficiale.

Parcheggio dei veicoli nel cortile: decide l'assemblea a maggioranza

Le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto di essere state approvate all’unanimità. Ne consegue che la clausola del regolamento condominiale, di natura contrattuale, che regola le condizioni delparcheggio dei veicoli dei condomini nel cortile del fabbricato, quale clausola che disciplina modalità di uso e godimento di un bene comune, può ben essere modificata dall’assemblea a maggioranza e non già all’unanimità. Questo il principio che può essere tratto da una recente decisione emessa dalla Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione (Cass. civ., Sent. 6 maggio 2014, n. 9681, Rel e Pres. Triola).
Il condomino Tizio impugna innanzi al giudice la delibera con la quale l’assemblea condominiale aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile del fabbricato con il sistema della rotazione. A sostegno della impugnazione, deduce che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, prevedeva che i veicoli dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni – e che di conseguenza non potevano parcheggiare in garage – avevano diritto di parcheggio in cortile con le seguenti priorità:

  1. macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni;
  2. macchine doppie;
  3. macchine triple.

In primo grado, il giudice annulla la delibera impugnata. Su appello di alcuni condomini, cui aderiva con appello incidentale in Condominio, la corte distrettuale accoglie le impugnazioni.
Tizio allora impugna con ricorso in cassazione la sentenza della corte d’appello. In particolare, il ricorrente, muovendo dal presupposto della natura “contrattuale” della norma contenuta nel regolamento, giunge a concludere che la stessa non avrebbe potuto essere modificata dall’assemblea se non con il consenso unanime dei condomini. Ma la tesi è smentita dalla Suprema Corte che ritiene infondato l’assunto. Infatti, osserva il giudice di legittimità, la corte del merito, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura “contrattuale” per il solo fatto di essere state approvate all’unanimità, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’art. 1138, comma 1, cod. civ. E da ciò consegue, conclude la Cassazione, che la predetta clausola ben poteva essere modificata con la maggioranza assembleare prevista dal successivo terzo comma della citata norma.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile


Sentenza 6 maggio 2014, n. 9681
Integrale

Condominio – Disposizioni del regolamento condominiale che disciplina l’uso delle parti comuni – Natura contrattuale – Esclusione – Parcheggio insufficiente – Necessità di turnazione – Delibera assembleare che disciplina l’uso del cortile comune


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22759/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
CONDOMINIO VIA (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T. – P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2037/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, emessa il 07/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Presidente Rel. Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine, il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato l’8 gennaio 2002 (OMISSIS) impugnava davanti al Tribunale di Napoli la delibera assunta in data 7 dicembre 2001 dal condominio di via (OMISSIS), in Napoli, di cui faceva parte, e che aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile col sistema della rotazione.
In particolare deduceva che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, all’articolo 8 prevedeva che le macchine dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni e che non potevano quindi parcheggiare in garage, avevano diritto di parcheggio in cortile, con le seguenti priorita’: 1) macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni; 2) macchine doppie; 3) macchine triple.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 26 settembre 1996, passata in giudicato, aveva annullato una precedente delibera dello stesso contenuto, per cui l’assemblea non avrebbe potuto disporre nello stesso senso.
Si costituivano i condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), chiedendo il rigetto della impugnazione.
In corso di causa si costituiva anche il condominio, contestando il fondamento della impugnazione.
Nel giudizio interveniva (OMISSIS), che, invece, aderiva alla impugnazione.
Con sentenza in data 17 maggio 2004 il Tribunale di Napoli annullava la delibera.
(OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) proponevano appello, al quale aderiva con appello incidentale il condominio.
Con sentenza in data 27 maggio 2008 la Corte di appello di Napoli accoglieva le impugnazioni.
Secondo i giudici di secondo grado, erroneamente il Tribunale di Napoli aveva ritenuto la natura contrattuale dell’articolo 8 del regolamento, con conseguente immodificabilita’ della disciplina dallo stesso prevista se non all’unanimita’, dal momento che tale disposizione disciplinava il godimento di una parte comune.
Da tale premessa derivava che il giudicato formatosi sulla precedente delibera valeva solo per la situazione di fatto esistente al momento in cui la stessa era stata assunta, ma non impediva una nuova deliberazione ove per il numero delle vetture interessate o per altre circostanze fosse diventato impossibile soddisfare il parcheggio di tutti nel cortile, con conseguente necessita’ di turnazione.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con tre motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e il Condominio in (OMISSIS), assistiti dallo stesso difensore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente insiste nell’invocare il giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Napoli in data 26 settembre 1996.
Il motivo e’ infondato.
Come chiarito dalla Corte di appello di Napoli il giudicato in questione era soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus, per cui non impediva la possibilita’ di una nuova delibera la quale disciplinasse il parcheggio nel cortile ove fossero mutate le condizioni esistenti all’epoca in cui la prima delibera era stata impugnata.
Con il secondo motivo il ricorrente, sul presupposto della natura contrattuale della clausola di cui all’articolo 8 del regolamento, ribadisce che la stessa non avrebbe potuto essere modificata se non con il consenso unanime dei condomini.
Il motivo e’ infondato.
La Corte di appello, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto che siano state approvate all’unanimita’, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’articolo 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che anche volendo ammettere che il precedente giudicato non costituiva causa ostativa alla assunzione di una delibera che disciplinasse l’uso del parcheggio nel cortile comune, la Corte di appello avrebbe dovuto comunque indicare quali erano le mutate condizioni che rendevano legittima la nuova delibera.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto introduce una questione che non ha costituito oggetto del giudizio nelle fasi di merito, avendo l’attuale ricorrente, a quanto si ricava dalla sentenza impugnata, invocato sempre e soltanto la natura contrattuale del regolamento e il precedente giudicato, senza mai, neppure in via subordinata, dedurre che comunque la delibera impugnata si basava su presupposti di fatto in realta’ non esistenti.
In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, con liquidazione unitaria in favore dei controricorrenti, in quanto assisiti dallo stesso difensore, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella complessiva somma di euro 2.200,00, di cui euro 200 per esborsi.

Approvazione e Revisione delle Tabelle Millesimali

PER APPROVAZIONE E REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI NON SERVE L’UNANIMITA’
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 18 dicembre 2013 – 26 febbraio 2014, n. 4569
(Presidente Oddo – Relatore Manna)

Svolgimento del processo

M.P., usufruttuaria di un appartamento del condominio Palazzo Camera, via G. Amato, 10, Minori, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Amalfi su ricorso del condominio stesso per il pagamento della somma di € 729,76 per residui oneri condominiali relativi agli anni 2000-2001. A sostegno dell’opposizione deduceva la carenza di legittimazione processuale dell’amministratore, in quanto cessato dalla carica all’epoca di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo; la mancata approvazione del rendiconto consuntivo del 2000 e la genericità di quello del 2001; l’illegittima ripartizione delle spese perché operata sulla base di tabelle millesimali mai approvate da tutti i condomini e diverse da quelle di cui al regolamento contrattuale formato nel 1996 all’atto di costituzione del condominio; nonché la riferibilità esclusiva delle spese stesse al solo nudo proprietario, in quanto derivanti da interventi di manutenzione straordinaria dell’edificio.
Il condominio resisteva in giudizio.
Il giudice di pace rigettava l’opposizione, con sentenza confermata dal Tribunale di Salerno in funzione di giudice d’appello.
Quest’ultimo osservava, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che l’assemblea del condominio con deliberazione del 2.1.1999 aveva adottato, con il consenso unanime di tutti i condomini presenti, tra cui la stessa P., e a maggioranza dei partecipanti al condominio, i nuovi coefficienti di ripartizione delle spese da utilizzarsi ai fini della redazione delle nuove tabelle millesimali, le quali, predisposte secondo le indicazioni delle citata delibera, erano state poi approvate, all’unanimità dei presenti, dall’assemblea del 4.12.1999. La P., proseguiva il Tribunale, non aveva partecipato a quest’ultima assemblea, ma il 3.1.2000 aveva avuto piena cognizione del contenuto della relativa deliberazione, apponendovi in calce la propria firma per accettazione. Pertanto, con la sottoscrizione apposta sia dalla P., sia dagli altri condomini che non avevano partecipato all’assemblea, il requisito di forma necessario per la modifica della tabella doveva ritenersi assolto.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.P., in base a tre motivi illustrati successivamente da memoria.
Resiste il condominio con controricorso.
Concesso termine all’amministratore del condominio per produrre l’autorizzazione dell’assemblea condominiale alla proposizione del controricorso, non risulta effettuato alcun deposito.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1325 e 1346 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che il verbale dell’assemblea del 4.12.1999 non riporta, ma si limita a richiamare, le tabelle predisposte dall’ing. C.C. secondo quanto dettato dall’assemblea del condominio in data 2.1.1999. Ne deriva che l’oggetto, requisito essenziale ai sensi dell’art. 1325 c.c., è indeterminato e incerto, con la conseguente invalidità della delibera.
Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., applicabile catione temporis alla fattispecie: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che il verbale del 4.12.1999 è invalido perché, non riportando le nuove tabelle, l’oggetto non è stato determinato né è determinabile”.
1.1. – Il motivo è infondato.
E’ pacifico sia in dottrina che nella giurisprudenza di questa Corte che il requisito di determinazione dell’oggetto di cui all’art. 1346 c.c., applicabile anche agli atti unilaterale in base all’art. 1324 c.c., può essere soddisfatto anche per relationem, cioè attraverso una relatio di tipo sostanziale ad altri atti delle stesse parti o di terzi, purché il rinvio riguardi elementi prestabiliti ed aventi una preordinata rilevanza obiettiva (cfr. ex pluribus Cass. n. 534/79).
Tale è, ad evidenza, il caso di specie, in cui il verbale dell’assemblea condominiale del 4.12.1999, in cui furono approvate le nuove tabelle millesimali, richiama, senza per questo trascriverle, le nuove tabelle già predisposte in base a quanto precedentemente stabilito dalla stessa assemblea il 2.1.1999. Non occorreva, pertanto, riprodurre pedissequamente dette tabelle nel verbale del 4.12.1999 per integrare il requisito di cui all’art. 1346 c.c.
2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1136, 1138, 1350, 1362, 1372 c.c. e 69 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Il Tribunale, si sostiene, ha richiamato il principio per cui le tabelle millesimali non possono essere modificate se non per iscritto e con il consenso di tutti i condomini, ma in realtà non ne ha fatto applicazione, perché i condomini assenti erano sei, mentre quelli che firmarono per accettazione la delibera del 4.12.1999 furono solo cinque.
Segue il quesito: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che le cosiddette nuove tabelle non sono state validamente approvate col consenso unanime, ed espresso in forma scritta ad substantiam, da tutti i partecipanti alla comunione”.
3. – Il terzo motivo ripropone la medesima doglianza del secondo mezzo, ma sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
La sentenza impugnata, deduce la ricorrente, non solo non chiarisce donde abbia percepito il consenso unanime di tutti i condomini alla variazione delle tabelle millesimali, ma afferma apoditticamente essere intervenuto il consenso scritto di tutti i condomini, senza verificare se il verbale del 4.12.1999 sia stato sottoscritto da tutti gli intervenuti e se i sei condomini assenti abbiano espresso personalmente il proprio consenso circa la comunicazione del verbale del 3.1.2000.
Propone la seguente sintesi della censura: “dica l’Ecc.ma Corte Suprema che le tabelle allegate al regolamento condominiale contrattuale formato con atto pubblico e trascritto non sono state validamente modificate dalle nuove tabelle, in quanto non è stato espresso in forma scritta ad substantiam il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio”.
4. – Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per il loro complementare riferirsi a distinti profili della medesima questione, sono infondati.
Occorre considerare, infatti, il sopravvenuto nuovo indirizzo di questa Corte in materia, dovuto all’arresto n. 18477/10 delle S.U., in base al quale l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c. Infatti, la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, fonte che è costituita dalla legge stessa, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica.
4.1. – Ciò posto, ogni questione sull’adesione successiva di tutti e sei ovvero solo di cinque dei condomini assenti perde totalmente di rilievo, essendo sufficiente il raggiungimento – non controverso in causa – della sola prescritta maggioranza qualificata per l’adozione delle nuove tabelle.
5. – In conclusione il ricorso va respinto.
6. – Nulla per le spese, non essendosi validamente perfezionata la difesa del condominio a mezzo del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

I Balconi, Le Verande e Le Finestre

A cura dell’avv. Alessandro Gallucci
Tra le cose che, non di rado, generano discussioni in materia condominiale bisogna inserire i balconi, le finestre e le verande. È un dato pacifico che tutte queste strutture sono considerate di proprietà esclusiva, laddove di pertinenza di una singola unità immobiliare, tuttavia, la loro conformazione e determinate vicende (es. sostituzione, riparazione, ecc.) possono incidere su beni ed aspetti della vita comune.
La legge di riforma n. 220/2012, pur inserendo tra i beni comuni di cui all’art. 1117 c.c. espressamente le facciate, non ha previsto alcuna specifica novità in merito a balconi, verande o finestre, lasciando che sia la giurisprudenza a continuare a colmare il vuoto normativo.

I balconi aggettanti e incassati

I balconi sono propaggini di un appartamento ai quali si ha accesso per mezzo di una porta-finestra.
In linea di massima, si possono distinguere i balconi c.d. “aggettanti”, che sporgono rispetto alla facciata dello stabile, da quelli “incassati”, che, invece, formano una rientranza nella facciata dell’edificio e solitamente sono chiusi almeno su due lati. Quello dei balconi è un argomento che molto spesso genera contenzioso in ambito condominiale, in particolare, in ordine al regime di proprietà e alla conseguente ripartizione delle spese, nonchè all’utilizzo delle relative strutture.
La giurisprudenza è pacificamente orientata nel ritenere che per determinare l’assetto proprietario dei balconi occorre valutare la conformazione strutturale degli stessi. Secondo il consolidato indirizzo della Cassazione, i balconi aggettanti sono considerati beni di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento cui ineriscono, poiché costituiscono nella loro interezza una sorta di “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare (Cass. n. 14076/2003), mentre per i balconi incassati, la relativa soletta è di proprietà comune dei condomini dell’appartamento del piano superiore e di quello del piano inferiore, cui serve, rispettivamente, da piano di calpestio e da copertura (Cass. n. 15913/2007; n. 14576/2004). Per quanto concerne, infine, le decorazioni presenti su entrambe le tipologie di balconi, laddove in grado di incidere sul decoro architettonico, la giurisprudenza è unanime nel considerare che i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore (in particolare, i c.d. frontalini, le fasce marcapiano, i parapetti, ecc.), “svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, c.c.” (Cass. n. 568/2000; n. 14576/2004).
Le ripercussioni principali del regime di proprietà dei balconi e dei relativi elementi architettonici riguardano la ripartizione delle spese tra i condomini per gli interventi di manutenzione. Sulla scorta di quanto appena affermato, pertanto, nel caso di balcone aggettante le spese per la sua manutenzione saranno a carico del proprietario dell’appartamento del quale il balcone costituisce prolungamento, mentre le spese per gli elementi decorativi che costituiscono un carattere architettonico della facciata, dovranno porsi a carico di tutti i condomini (Cass. n.14076/2003; n. 637/2000; n. 176/86). Quanto agli usi consentiti, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che il proprietario dell’appartamento del piano inferiore rispetto al balcone aggettante non potrà utilizzare, senza il consenso del proprietario del balcone, la parte inferiore della soletta per agganciare tende da sole o altri elementi (cfr. Cass. 17 luglio 2007, n. 15913), mentre, di contro, avrà diritto al risarcimento per gli eventuali danni causati dal medesimo.
Nei balconi incassati, invece, essendo la soletta di proprietà comune tra i proprietari cui serve, rispettivamente, da piano di calpestio e copertura, il condomino del piano inferiore potrà fare tutti gli usi che ritiene utili e necessari nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 1102 c.c., mentre il criterio di ripartizione delle spese per la manutenzione e ricostruzione sarà quello di cui all’art. 1125 c.c., relativo ai soffitti, alle volte e ai solai, secondo il quale le stesse vanno “sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto” (Cass. n. 14576/2004).
In ogni caso, tutte le decisioni assembleari relative al balcone, adottate senza il consenso del proprietario dello stesso, sono da considerarsi nulle, mentre qualsiasi modifica inerente ai balconi che sia suscettibile di incidere su un bene comune, quale il decoro architettonico, necessiterà del consenso di tutti i condomini.

Verande e usi consentiti

Per veranda comunemente si intende un balcone (loggia o terrazzo) chiuso con vetrate, per la quale valgono gli analoghi principi espressi per i balconi. Le questioni relative alle verande ineriscono soprattutto alla realizzazione delle stesse, laddove non previste all’origine della costruzione dello stabile.
La trasformazione di un balcone (o di un terrazzo) in veranda, a parte tutte le necessarie autorizzazioni comunali, rientra in materia di innovazioni, ed è considerata legittima quando non diminuisca il diritto degli altri condomini, non alteri il decoro architettonico dell’edificio o non rechi pregiudizio alla stabilità dello stesso. Sono considerate innovazioni vietate, invece, la costruzione di una veranda che leda i diritti degli altri condomini alla naturale destinazione dell’originario balcone (ad es. di copertura di parte dell’edificio condominiale) (Cass. n. 2189/1981; App. Napoli 25.6.1998), impedendo la veduta ai condomini soprastanti (Cass. n. 1132/1985), ovvero la trasformazione di un balcone in veranda “eseguita mediante chiusura in alluminio e vetri” idonea, come tale ad alterare il decoro architettonico dell’edificio condominiale (Cass. n. 27224/2013).

Finestre di proprietà e condominiali

Le finestre sono, in sostanza, aperture (semplici, composte, di piccole dimensioni o a parete) sui muri dell’edificio aventi la principale funzione, unitamente alle strutture che le rendono praticabili e utilizzabili (fissi ed infissi, stipiti, cornici, imposte) di dare luce ed aria agli ambienti interni.
Esse non rientrano tra i beni comuni ex art. 1117 c.c., poiché di regola destinate a servire all’utilità esclusiva di un determinato alloggio dell’edificio e, dunque, appartenenti al relativo proprietario.
Tuttavia, le finestre possono ben costituire elementi sia di proprietà condominiale che individuale.
Al pari dei balconi, infatti, gli elementi decorativi e ornamentali posti attorno alle finestre o tra una finestra e l’altra che costituiscono carattere architettonico della facciata, in grado di incidere sul decoro dell’edificio, accrescendone il pregio estetico, sono da considerarsi parti comuni ai sensi dell’art. 1117 n. 3 c.c., per cui le spese per il loro rifacimento e manutenzione sono a carico della collettività condominiale. Analogamente, per le finestre poste usualmente negli edifici in corrispondenza del vano scale, la cui funzione è quella di dare luce e aria alle scale di collegamento dei vari piani, non vi è motivo di dubitare che le stesse, servendo l’intero condominio, debbano essere considerate, al pari delle scale, di proprietà comune, salvo diversa indicazione proveniente dagli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o dal regolamento condominiale contrattuale.
In merito, infine, agli usi consentiti, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che qualsiasi intervento sul muro comune, come l’apertura di una finestra o di vedute o la trasformazione di finestre in balconi, è espressione del legittimo uso delle parti comuni per gli effetti di cui all’art. 1102 c.c., il quale consente a ciascun condomino di “servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”, sempre che questo avvenga nel rispetto dei divieti di cui all’art. 1120 e delle norme urbanistiche (Cass. n. 53/2014). Pertanto, è stata ritenuta “legittima l’esecuzione della delibera condominiale con cui alcuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in balconi le finestre dei rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti balconi delle proprietà sottostanti, compiuta nell’ambito delle facoltà consentite dall’art. 1102 c.c. nell’uso dei beni comuni, previsto che la realizzazione del balcone non aveva provocato alcuna diminuzione di luce e di aria alla veduta esercitata dal condomino sottostante” (Cass. n. 7044/2004); mentre, invece, sono state qualificate come abusive poiché pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell’edificio “le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio”. (Cass. n. 3927/1988).

Cass.Civ. Sent 6.05.14,n. 9681- Disposiz del regolamento condominiale sull'uso delle parti comuni

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile

Sentenza 6 maggio 2014, n. 9681
Integrale

Condominio – Disposizioni del regolamento condominiale che disciplina l’uso delle parti comuni – Natura contrattuale – Esclusione – Parcheggio insufficiente – Necessità di turnazione – Delibera assembleare che disciplina l’uso del cortile comune

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22759/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
CONDOMINIO VIA (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T. – P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2037/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, emessa il 07/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Presidente Rel. Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine, il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato l’8 gennaio 2002 (OMISSIS) impugnava davanti al Tribunale di Napoli la delibera assunta in data 7 dicembre 2001 dal condominio di via (OMISSIS), in Napoli, di cui faceva parte, e che aveva disposto il parcheggio delle autovetture nel cortile col sistema della rotazione.
In particolare deduceva che il regolamento di condominio, di natura contrattuale, all’articolo 8 prevedeva che le macchine dei condomini e degli inquilini eccedenti determinate dimensioni e che non potevano quindi parcheggiare in garage, avevano diritto di parcheggio in cortile, con le seguenti priorita’: 1) macchine non parcheggiabili in garage a causa delle proprie dimensioni; 2) macchine doppie; 3) macchine triple.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 26 settembre 1996, passata in giudicato, aveva annullato una precedente delibera dello stesso contenuto, per cui l’assemblea non avrebbe potuto disporre nello stesso senso.
Si costituivano i condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), chiedendo il rigetto della impugnazione.
In corso di causa si costituiva anche il condominio, contestando il fondamento della impugnazione.
Nel giudizio interveniva (OMISSIS), che, invece, aderiva alla impugnazione.
Con sentenza in data 17 maggio 2004 il Tribunale di Napoli annullava la delibera.
(OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) proponevano appello, al quale aderiva con appello incidentale il condominio.
Con sentenza in data 27 maggio 2008 la Corte di appello di Napoli accoglieva le impugnazioni.
Secondo i giudici di secondo grado, erroneamente il Tribunale di Napoli aveva ritenuto la natura contrattuale dell’articolo 8 del regolamento, con conseguente immodificabilita’ della disciplina dallo stesso prevista se non all’unanimita’, dal momento che tale disposizione disciplinava il godimento di una parte comune.
Da tale premessa derivava che il giudicato formatosi sulla precedente delibera valeva solo per la situazione di fatto esistente al momento in cui la stessa era stata assunta, ma non impediva una nuova deliberazione ove per il numero delle vetture interessate o per altre circostanze fosse diventato impossibile soddisfare il parcheggio di tutti nel cortile, con conseguente necessita’ di turnazione.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con tre motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e il Condominio in (OMISSIS), assistiti dallo stesso difensore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente insiste nell’invocare il giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Napoli in data 26 settembre 1996.
Il motivo e’ infondato.
Come chiarito dalla Corte di appello di Napoli il giudicato in questione era soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus, per cui non impediva la possibilita’ di una nuova delibera la quale disciplinasse il parcheggio nel cortile ove fossero mutate le condizioni esistenti all’epoca in cui la prima delibera era stata impugnata.
Con il secondo motivo il ricorrente, sul presupposto della natura contrattuale della clausola di cui all’articolo 8 del regolamento, ribadisce che la stessa non avrebbe potuto essere modificata se non con il consenso unanime dei condomini.
Il motivo e’ infondato.
La Corte di appello, partendo dalla corretta premessa che le disposizioni del regolamento di condominio le quali disciplinano l’uso delle parti comuni non hanno natura contrattuale per il solo fatto che siano state approvate all’unanimita’, ha ritenuto che la clausola in questione faceva parte del contenuto normale del regolamento di condominio, di cui all’articolo 1138 c.c., comma 1, per cui poteva essere modificata con la maggioranza prevista dal successivo terzo comma. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che anche volendo ammettere che il precedente giudicato non costituiva causa ostativa alla assunzione di una delibera che disciplinasse l’uso del parcheggio nel cortile comune, la Corte di appello avrebbe dovuto comunque indicare quali erano le mutate condizioni che rendevano legittima la nuova delibera.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto introduce una questione che non ha costituito oggetto del giudizio nelle fasi di merito, avendo l’attuale ricorrente, a quanto si ricava dalla sentenza impugnata, invocato sempre e soltanto la natura contrattuale del regolamento e il precedente giudicato, senza mai, neppure in via subordinata, dedurre che comunque la delibera impugnata si basava su presupposti di fatto in realta’ non esistenti.
In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, con liquidazione unitaria in favore dei controricorrenti, in quanto assisiti dallo stesso difensore, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella complessiva somma di euro 2.200,00, di cui euro 200 per esborsi.

Nuove Categorie Catatali in arrivo

Saranno previste due maxi categorie: quella ordinaria “O” e quella speciale “S”; la prima riguarderà le abitazioni, la seconda gli impianti e i servizi.
È ormai entrata nel vivo la riforma dei valori catastali degli immobili: un’azione che porterà alla rideterminazione di importi ormai vecchi e non aggiornati, ma soprattutto non corrispondenti alla reale condizione di numerosi immobili. Le neo-istituite Commissioni censuarie sono chiamate a riclassificare e rivalutare tutto il patrimonio italiano. L’iter, che partirà nella seconda metà di quest’anno, dovrebbe terminare entro il 2019. Nel novembre scorso il governo ha dato il via libera alla riforma del Catasto, con l’istituzione delle commissioni censuarie, che dovranno individuare i criteri su cui basare le nuove valutazioni delle rendite. Quel che è certo è che i nuovi meccanismi di calcolo delle rendite catastali non si baseranno più sul numero dei vani, ma sui metri quadrati, tenendo conto anche del reddito da locazione medio, della collocazione e delle caratteristiche edilizie dell’immobile (qualità, anno di costruzione…). Una volta elaborati i nuovi meccanismi (entro marzo 2015), le commissioni si occuperanno del censimento vero e proprio, passando in rassegna case, fabbricati e terreni. Insomma, la parola d’ordine sarà, per il futuro, edifici in linea con il valore di mercato effettivo (sebbene, a causa dell’attuale crisi edilizia, in molte aree del Paese questo mercato non ci sia più). Ma lo scopo è anche quello di far emergere i cosiddetti “immobili fantasma”, mai censiti al Catasto, e colpire chi fino a oggi ha pagato meno per immobili di un certo prestigio. Basare il calcolo sui metri quadrati anziché sui vani dovrebbe portare a stime più eque, perché si prenderà in considerazione la dimensione reale degli immobili.

La nuova suddivisione

Tra gli aspetti principali del secondo decreto governativo c’è la definizione delle nuove categorie catastali. Ricordiamo che la categoria consiste nella tipologia delle unità immobiliari, presenti nella zona censuaria, differente per le caratteristiche intrinseche che ne determinano la destinazione ordinaria e permanente.
Ecco come funzionerà nella sostanza la riforma. Gli immobili urbani saranno divisi in due maxi gruppi (attualmente, invece, i gruppi sono cinque):

1 | CATEGORIA ORDINARIA

– gli immobili “a destinazione ordinaria”: si tratterà delle abitazioni e saranno identificati dalla lettera “O”. A loro volta saranno suddivisi in 8 sub-categorie (da O/1 a O/8: un numero inferiore rispetto a quello attuale) che distingueranno le abitazioni in palazzi, villette e “abitazioni tipiche”, uffici e studi, cantine, posti auto, negozi e magazzini.
Le unità immobiliari delle categorie ordinarie sono valutate mediante funzioni statistiche che mettono in relazione i valori (e i redditi) e le variabili esplicative, come quelle riguardanti la posizione e quelle derivanti dalle caratteristiche edilizie. L’ambito territoriale può essere una zona Omi, una aggregazione di queste interne a un Comune, l’intero Comune o una aggregazione di più Comuni. Il valore (o il reddito) di un’unità immobiliare sarà dato da un importo unitario di riferimento di zona, corretto con coefficienti accrescitivi o diminutivi, moltiplicato per la superficie dell’unità.

2 | CATEGORIA SPECIALE

– gli immobili “a destinazione speciale”, identificati dalla lettera “S”, saranno suddivisi in 18 categorie (un numero superiore rispetto a quello attuale) a seconda del tipo di attività degli impianti (energia, miniere, industria, logistica, ambiente) o degli immobili occupati da servizi (direzionali, commerciali, scuole, sanità, ecc.). Probabilmente verrà previsto anche un ulteriore gruppo (identificato con la lettera “I”), in cui iscrivere senza attribuzione di valore e rendita le unità immobiliari improduttive, costituite dalle attuali categorie F (unità collabenti in corso di costruzione o definizione, lastrici solari e aree urbane). La legge delega prevede che per calcolare il valore fiscale degli immobili si prenda come riferimento il triennio 2011-2013.

L’INCIDENZA SULLA TASSAZIONE

L’aggiornamento del valore catastale degli immobili comporterà un innalzamento della base imponibile delle imposte sulla casa. Con ineliminabile aumento della tassazione.
fonte sito internet http://www.laleggepertutti.it/61432_nuove-categorie-catastali-in-arrivo-la-riforma