SI COMUNICA CHE LO STUDIO DI PASQUA RESTERA’ CHIUSO PER LA PAUSA ESTIVA
DAL 07 AGOSTO AL 17 AGOSTO 2017
Per urgenze contattare i numeri utili in Vostro possesso e/o la sede Aiac Tel 0332/62.93.23
Referente Sig.ra Alessandra
SI COMUNICA CHE LO STUDIO DI PASQUA RESTERA’ CHIUSO PER LA PAUSA ESTIVA
DAL 07 AGOSTO AL 17 AGOSTO 2017
Per urgenze contattare i numeri utili in Vostro possesso e/o la sede Aiac Tel 0332/62.93.23
Referente Sig.ra Alessandra
Nell’ipotesi di alienazione dell’immobile in condominio, l’art. 63 disp. att. Cc, sia nella precedente che nella nuova formulazione, prevede che venditore e acquirente rimangono solidalmente obbligati al pagamento dei contributi relativi all’annualità precedente alla vendita ed a quella in corso, fatti salvi eventuali patti contrari intercorsi tra le parti, comunque, non opponibili al condominio.
Nell’ipotesi di lavori straordinari, al fine di determinare la data di insorgenza dell’obbligazione contributiva, tuttavia, occorre prendere a riferimento la deliberazione di approvazione di tali lavori.
Conseguentemente può accadere che la deliberazione con la quale sono state disposte delle lavorazioni straordinarie all’immobile sia risalente nel tempo, mentre la ripartizione delle somme necessarie all’esecuzione di quei lavori potrebbe intervenire successivamente, quando l’immobile magari è stato alienato da diversi anni.
In questi casi il venditore non può ritenersi liberato dall’obbligazione, né invocare il predetto art. 63 disp. att. Cc e, pertanto, ritenersi obbligato solo per l’annualità precedente alla vendita e per quella successiva.
Infatti, per come accennato, l’obbligo di partecipazione alle spese condominiali attinenti l’esecuzione di lavori straordinari sulle parti comuni, insorge nel momento in cui viene deliberata la realizzazione degli anzidetti lavori e non con le successive deliberazioni di ripartizione delle spese.
Emissioni di fumi di scarico e vapori: le canne fumarie non hanno natura di costruzione e, quindi, non devono rispettare le distanze legali minime previste dal codice civile.
Niente rispetto dei tre metri dal fondo del vicino: le norme del codice civile sulle distanze minime non valgono per le canne fumarie. A chiarirlo è la Cassazione [2], secondo cui, non trattandosi di costruzioni vere e proprie, i tubi di scarico dei fumi apposti sulla facciata dell’edificio non sono tenuti al rispetto della norma del codice civile sulle distanze regolamentari.
La Corte di Cassazione richiama una sua precedente pronuncia secondo cui, in tema di condominio negli edifici, il codice civile [3] afferma che ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Non rileva, dunque, la disciplina sulla distanza delle costruzioni dalle vedute [1], atteso che la canna fumaria non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, il forno di una pizzeria).
Ne consegue che ove non vi sia alterazione della destinazione della cosa comune e impedimento di pari uso agli altri condomini, è legittima una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino, anche se realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue.
Non entra, quindi, in gioco una distanza legale fissa ma la disciplina fissata dagli stessi condomini in virtù di un regolamento contrattuale, sempre nel rispetto del decoro architettonico e della salubrità: è proprio sotto quest’ultimo aspetto, poiché la canna fumaria comporta anche emissione di fumi o di vapori, occorrerà prestare attenzione alla loro nocività e porre in essere le cautele necessarie per evitare conseguenze negative.
– fonte: http://www.laleggepertutti.it/96014_canne-di-scarico-stufe-e-camini-limiti-in-condominio#sthash.xvVFq7FD.dpuf
Balconi: infiltrazioni d’acqua dal terrazzo del vicino
Quando si parla di infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo del vicino del piano di sopra, il risarcimento segue una regola diversa a seconda che si tratti di:
– balconi aggettanti: quelli, cioè, che costituiscono un prolungamento dell’appartamento e che danno sulla facciata dell’immobile, sotto i quali non v’è altro o magari il balcone aggettante di un altro condomino
– terrazzo a livello: quello sotto il quale vi è l’appartamento del vicino, cui funge da copertura (v. foto).
Nel primo caso, a pagare il risarcimento è il proprietario dell’appartamento. E questo perché il balcone aggettante è considerato come un prolungamento della proprietà del titolare dell’appartamento.
Diverso è il caso del terrazzo a livello. Secondo una consolidata giurisprudenza, la terrazza a livello è equiparata al lastrico solare se funge da copertura dell’appartamento sottostante. In questo senso, la Cassazione [1] ha puntualizzato che in base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dal codice civile [2], il proprietario esclusivo del lastrico solare (cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
Sussiste, dunque, l’obbligo per il proprietario del piano di sotto di sopportare le spese di manutenzione e ricostruzione della terrazza soprastante. Il codice civile [2] stabilisce infatti che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condòmini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condòmini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
[1] Cass. sent. n. 5125/1993.
[2] Art. 1126 cod. civ.
Fonte : http://www.laleggepertutti.it/81178_si-al-bb-in-appartamento-condominiale#sthash.h2liJpJI.dpuf
Impianti termici, il libretto è diventato unico: non si distingue più in “centrale” ed “impianto”.
Con il decreto mille proroghe, approvato negli scorsi giorni dalle Camere, è slittato, ancora una volta, il termine per l’adeguamento dei libretti relativi agli impianti di riscaldamento e condizionatori. In pratica, per tutti gli impianti termici presenti nelle civili abitazioni, è stato prorogato al 31.12.2015 il termine per l’integrazione del libretto di centrale. Ricordiamo che, per effetto delle recenti modifiche legislative, il libretto d’impianto e i rapporti di controllo per l’efficienza energetica sono diventati obbligatori per tutte le tipologie d’impianto (non solo, quindi i riscaldamenti tradizionali) compresi i condizionatori. In particolare, tutti gli impianti termici per la climatizzazione (invernale ed estiva) e per la produzione di acqua calda sanitaria dovranno essere, dal 1° gennaio 2016, muniti del nuovo libretto di impianto, compilato secondo il modello predisposto dal ministero dello Sviluppo Economico. Ricordiamo che il libretto è una sorta di carta d’identità dell’impianto: ne registra tutta la vita dalla prima accensione fino alla demolizione, includendo le modifiche, sostituzioni di apparecchi e componenti, interventi di manutenzione e di controllo, valori di rendimento nel corso della vita utile, cambi di proprietà.
Cosa cambia dal 2016 Il modello che entrerà in vigore dal prossimo anno non si distinguerà più un due tipologie di moduli (uno riferito alle centrali termiche e l’altro al singolo impianto autonomo), ma su un modulo unico, personalizzabile, costituito da tante schede, usate e assemblate in funzione delle componenti dell’impianto. In pratica, gli attuali “Libretti di Centrale e di Impianto” (per impianti termici sopra e sotto i 35kW) dovranno essere sostituiti da un unico “Libretto per la climatizzazione” ove sarà possibile indicare, per esempio, la presenza sia dell’impianto termico (di qualsiasi potenza) che dell’impianto di climatizzazione estiva. Per gli impianti esistenti sino all’ingresso del nuovo libretto, i “Libretti di centrale” ed i “Libretti di impianto”, già compilati in precedenza, dovranno essere allegati al nuovo “Libretto per la climatizzazione”. La prima compilazione sarà fatta dall’installatore all’atto del montaggio dell’impianto e della sua messa in funzione. In seguito dovrà essere aggiornato dal responsabile dell’impianto (cioè il singolo cittadino o, in condominio, dall’amministratore o da una ditta terza da questi delegato) o dal manutentore.
– Fonte at: http://www.laleggepertutti.it/80278_caldaie-slitta-lintegrazione-del-libretto#sthash.ZxOrsStP.dpuf
ATTENZIONE: CERTIFICAZIONE UNICA 2015 – ENTRO IL 7 MARZO
A partire dal 2015 per il periodo d’imposta 2014, i sostituti d’imposta dovranno trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate, entro il 7 marzo, le certificazioni relative ai redditi di lavoro dipendente, ai redditi di lavoro autonomo e ai redditi diversi, già rilasciate entro il 28 febbraio. Il flusso telematico da inviare all’Agenzia si compone: • Frontespizio nel quale vengono riportate le informazioni relative al tipo di comunicazione, ai dati del sostituto, ai dati relativi al rappresentante firmatario della comunicazione, alla firma della comunicazione e all’impegno alla presentazione telematica; • Quadro CT nel quale vengono riportate le informazioni riguardanti la ricezione in via telematica dei dati relativi ai mod.730-4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate; • Certificazione Unica 2015 nella quale vengono riportati i dati fiscali e previdenziali relativi alle certificazioni lavoro dipendente, assimilati e assistenza fiscale e alle certificazioni lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. Si precisa che tutte le certificazioni uniche rilasciate dai sostituti d’imposta devono essere inviate all’Agenzia delle Entrate, anche qualora attestassero tipologie reddituali per le quali il dettato normativo non ne ha previsto la predisposizione per la dichiarazione dei redditi precompilata. I modelli e le relative istruzioni sono prelevabili gratuitamente dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it oppure da quello del Ministero dell’Economia e delle Finanze www.finanze.gov.it. È data facoltà ai sostituti d’imposta di suddividere il flusso telematico inviando, oltre il frontespizio ed eventualmente il quadro CT, le certificazioni dati lavoro dipendente ed assimilati separatamente dalle certificazioni dati lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi
Agenzia delle Entrate
Fonte: http://www.condominioweb.com/certificazione-unica-risvolti-del-nuovo-adempimento.11612#ixzz3Qh4SP43j
www.condominioweb.com
La contabilizzazione del calore consumato da ogni unità immobiliare è ormai entrata nella cultura e nelle abitudini comuni.
Prevista ope legis da tempo, negli interventi di nuova edificazione, ed a colpi di decretazione regionale (con tanti avanti-indietro, proroghe, deroghe, sanzioni e chi più ne ha, ne metta) presto o tardi coinvolgerà tutti gli edifici.
È cosa senz’altro positiva, perché, associata alla possibilità di regolazione, contribuisce in maniera radicale alla responsabilizzazione e sensibilizzazione di tutti verso un bene comune, facendo leva sull’interesse economico del singolo. Non sempre sortisce gli effetti taumaturgici che le si attribuiscono, ma sicuramente evidenti, sì.
Come sempre insieme alle cose positive sono da considerare alcuni aspetti che, se non negativi, devono essere oggetto di attenta valutazione, specialmente quando la contabilizzazione viene effettuata su impianti “old-style” installati in edifici con isolamento termico ridotto o quasi nullo (cosa che avviene nella grande maggioranza degli edifici precedenti il 1976, anno della legge 373, antesignana della più celebre legge 10/1991).
In questi casi infatti, è prevedibile l’insorgere di contenziosi che possono derivare da problematiche non affrontate.
Ripartizione dei costi
Negli stabili condominiali in cui fino ad oggi la ripartizione dei costi di riscaldamento (sia per il combustibile sia per la manutenzione) è stata effettuata con l’ovvio criterio dei millesimi, si pone in problema di quanto debbano pagare i condomini con l’appartamento ai piani estremi (il più alto ed il più basso). Nelle nostre considerazioni tralasciamo pure le pur rilevanti incertezze della misurazione ed immagiamo che sia perfetta.
Gli appartamenti dell’ultimo piano, che sopra hanno aria esterna fredda, oppure un sottotetto non riscaldato, hanno superficie disperdenti costituite dalle pareti esterne e dal soffitto.
Quelli del piano terreno hanno superficie disperdenti costituite dalle pareti esterne e dal pavimento.
Gli altri piani hanno superfici disperdenti costituite dalle sole pareti esterne.
È ovvia la considerazione che in un ipotetico palazzo a pianta quadrata di 5 metri di lato gli appartamenti intermedi hanno superficie disperdente di 20×2.7=54 m2; l’appartamento più in alto, a quella superficie deve aggiungere 25 m2, come il piano terreno. A loro volta i due appartamenti estremi hanno diverso scambio termico con il resto del mondo: quello in alto, con aria esterna a temperatura invernale (a Milano, per esempio, -5 °C); quello al piano terra, con il terreno a 10÷15 °C.
La potenza scambiata con l’esterno è direttamente proporzionale alla superficie ed al salto termico fra interno ed esterno dell’abitazione: è quindi ovvio che gli appartamenti all’estremo siano sfavoriti e l’energia misurata dai loro contabilizzatori sia in parte al servizio dell’appartamento, come tutti, ed in parte al servizio del condominio.
Quanto si muta il regolamento condominiale in funzione dell’introduzione della contabilizzazione, occorre quindi prevedere un meccanismo che riconosca giusta ragione di ciò.
Sono in uso “comode” forfettizzazioni che indicano come ripartire i consumi degli ultimi piani. Tipicamente si utilizzano valori compresi fra 20 e 30 % del consumo totale come “condominiale” ed il resto come “pro capite”.
Queste forfettizzazioni sono fatte sulla base di un apparente buon senso, basato su assunti non necessariamente veri, come quello del piccolo esempio numerico di prima.
La tipologia di pareti, serramenti, solai e pavimenti, può cambiare radicalmente le prospettive, in bene o in male, causando storture applicative.
È invece opportuno che la quantificazione della quota “condominiale” sia calcolata attraverso un calcolo rigoroso, orami alla portata di tutti, dal quale si evinca, in funzione dei gradi giorno rilevati attualmente, quale è la quantità di calore che esce attraverso i tetti ed i solai e detrarre quella quota dai consumi degli appartamenti all’ultimo ed al primo piano.
Il meccanismo è pure relativamente semplice, ma assai più robusto del “lume di naso”, permettendo tra l’altro di tener conto delle differenze di temperatura fra un anno e l’altro.
Temperatura d’esercizio
Un problema simile e per certi versi più insidioso è l’apparente libertà di regolazione che i condòmini hanno. Installare regolazione e contabilizzazione autonoma consentono di regolare al meglio la temperatura degli appartamenti. Ma il condòmino è libero di tenere, per esempio, 10°C? Oppure, se l’appartamento è sfitto, può spegnere tour-court il riscaldamento?
La risposta è negativa per una serie di ragioni.
La prima è di rapporto con i vicini. Si dà, infatti, per sottinteso che tutti gli appartamenti siano eserciti a temperatura normale e che, di conseguenza, non ci sia scambio termico fra due appartamenti posti a piani diversi. Temperatura normale con la quale sono stati eserciti fino ad oggi sotto la regolazione condominiale.
Se, come esempio limite, un appartamento venisse tenuto a 0 °C, quello soprastante richiederà molta più energia (contabilizzata e pagata dal singolo) del normale, come se fosse l’appartamento dell’ultimo piano. Questo è un punto estremamente importante in assoluto, ma anche perché rischia di far nascere, aumentare ed esacerbare i rapporti di buon vicinato, tradizionalmente già tesi in un condominio.
C’è un’altra considerazione, tuttavia, da fare: gli edifici un po’ anziani –in particolare le loro pareti esterne- nacquero in un’epoca, prima della crisi energetica del 1973, in cui l’energia costava poco e quindi sono poco coibentati. Il sistema termodinamico vive quindi di uno strano equilibrio per il quale l’elevata quantità di calore che esce verso l’esterno tiene calde le pareti. Questo è un non voluto e costoso, ma efficiente, modo di evitare la formazione delle condense sui muri.
È evidente che tenere inutilmente alte le temperature per salvare dalla condensa è per certi versi assurdo. Ma si deve anche tenere in considerazione che un appartamento chiuso e freddo per lunghi periodi darà luogo a deterioramento esterno ed interno delle muratura, con conseguente danno per l’edificio, specialmente per gli appartamenti confinanti, che vedranno gli spigoli dei loro muri inusitatamente freddi e, quindi, con pericolo di condensa e danneggiamento.
Cosa fare, allora?
Nelle stesse more dell’adozione della contabilizzazione e regolazione per appartamento, occorre inserire una clausola obbligatoria in base alla quale gli appartamenti non possono essere eserciti a temperature inferiori ad un certo limite (p.es. 15 °C, come suggerito dalla norma UNI 10200:2013). Limiti che contemperino il diritto/dovere del risparmio d’energia di un singolo condomino, ma anche quelli degli altri condomini che non devono pagare più del dovuto e di tutto il condominio del quale si deve preservare correttamente la proprietà.
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Si faccia comunque opportuno riferimento alla norma UNI 10200:2013 “Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale e produzione di acqua calda sanitaria Criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale ed acqua calda sanitaria”
DPR 74/201 “Art. 3. Valori massimi della temperatura ambiente 1. Durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione invernale, la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare, non deve superare: a) 18°C + 2°C di tolleranza per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili; b) 20°C + 2°C di tolleranza per tutti gli altri edifici.”
Se il salto termico è nullo, la potenza scambiata è pure nulla.
È quanto emerge da una recente sentenza del Tar Sicilia [1].
Come già aveva chiarito il Consiglio di Stato in una sentenza dello scorso luglio , senza l’autorizzazione dell’ente locale l’opera abusiva deve essere rimossa. E per i paletti sul marciapiede, con tanto di lucchetti, non vi è dubbio che sia necessaria la presentazione della Scia.
Secondo il giudice amministrativo, i dissuasori messi a bordo strada ostacolano il passaggio di eventuali mezzi di soccorso. Peraltro, affinché una strada possa rientrare nella categoria vicinale pubblica è prevista una serie di requisiti, fra i quali il passaggio esercitato a titolo di servitù da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale. E il diritto di uso pubblico può ben essere affermato solo perché l’utilizzo si protrae da lunghissimo tempo.
[1] Tar Sicilia, sent. n. 1224/15.