Spese straordinarie. Per il venditore l'obbligo risale alla delibera che ha disposto i lavori.

Nell’ipotesi di alienazione dell’immobile in condominio, l’art. 63 disp. att. Cc, sia nella precedente che nella nuova formulazione, prevede che venditore e acquirente rimangono solidalmente obbligati al pagamento dei contributi relativi all’annualità precedente alla vendita ed a quella in corso, fatti salvi eventuali patti contrari intercorsi tra le parti, comunque, non opponibili al condominio.
Nell’ipotesi di lavori straordinari, al fine di determinare la data di insorgenza dell’obbligazione contributiva, tuttavia, occorre prendere a riferimento la deliberazione di approvazione di tali lavori.
Conseguentemente può accadere che la deliberazione con la quale sono state disposte delle lavorazioni straordinarie all’immobile sia risalente nel tempo, mentre la ripartizione delle somme necessarie all’esecuzione di quei lavori potrebbe intervenire successivamente, quando l’immobile magari è stato alienato da diversi anni.
In questi casi il venditore non può ritenersi liberato dall’obbligazione, né invocare il predetto art. 63 disp. att. Cc e, pertanto, ritenersi obbligato solo per l’annualità precedente alla vendita e per quella successiva.
Infatti, per come accennato, l’obbligo di partecipazione alle spese condominiali attinenti l’esecuzione di lavori straordinari sulle parti comuni, insorge nel momento in cui viene deliberata la realizzazione degli anzidetti lavori e non con le successive deliberazioni di ripartizione delle spese.

Emissioni di fumi di scarico e vapori:

Emissioni di fumi di scarico e vapori: le canne fumarie non hanno natura di costruzione e, quindi, non devono rispettare le distanze legali minime previste dal codice civile.

Niente rispetto dei tre metri dal fondo del vicino: le norme del codice civile sulle distanze minime non valgono per le canne fumarie. A chiarirlo è la Cassazione [2], secondo cui, non trattandosi di costruzioni vere e proprie, i tubi di scarico dei fumi apposti sulla facciata dell’edificio non sono tenuti al rispetto della norma del codice civile sulle distanze regolamentari.
La Corte di Cassazione richiama una sua precedente pronuncia secondo cui, in tema di condominio negli edifici, il codice civile [3] afferma che ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Non rileva, dunque, la disciplina sulla distanza delle costruzioni dalle vedute [1], atteso che la canna fumaria non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, il forno di una pizzeria).
Ne consegue che ove non vi sia alterazione della destinazione della cosa comune e impedimento di pari uso agli altri condomini, è legittima una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino, anche se realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue.
Non entra, quindi, in gioco una distanza legale fissa ma la disciplina fissata dagli stessi condomini in virtù di un regolamento contrattuale, sempre nel rispetto del decoro architettonico e della salubrità: è proprio sotto quest’ultimo aspetto, poiché la canna fumaria comporta anche emissione di fumi o di vapori, occorrerà prestare attenzione alla loro nocività e porre in essere le cautele necessarie per evitare conseguenze negative.
– fonte: http://www.laleggepertutti.it/96014_canne-di-scarico-stufe-e-camini-limiti-in-condominio#sthash.xvVFq7FD.dpuf

Area condominiale: no ai paletti a delimitazione del parcheggio

Area condominiale: no ai paletti a delimitazione del parcheggio

Il condominio non può installare, come dissuasori di parcheggio, dei paletti in ferro, anche se il suolo dove vengono fissati detti supporti è di proprietà dello stesso condominio: scatta allora la rimozione forzosa, ad opera delle autorità, perché l’area resta comunque di uso pubblico. Peraltro, il fatto che la via ove affaccia il palazzo è chiusa al traffico o che vi sia solo un passaggio occasionale del traffico non vale a renderla privata.
È quanto emerge da una recente sentenza del Tar Sicilia [1].
Come già aveva chiarito il Consiglio di Stato in una sentenza dello scorso luglio , senza l’autorizzazione dell’ente locale l’opera abusiva deve essere rimossa. E per i paletti sul marciapiede, con tanto di lucchetti, non vi è dubbio che sia necessaria la presentazione della Scia.
Secondo il giudice amministrativo, i dissuasori messi a bordo strada ostacolano il passaggio di eventuali mezzi di soccorso. Peraltro, affinché una strada possa rientrare nella categoria vicinale pubblica è prevista una serie di requisiti, fra i quali il passaggio esercitato a titolo di servitù da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale. E il diritto di uso pubblico può ben essere affermato solo perché l’utilizzo si protrae da lunghissimo tempo.

[1] Tar Sicilia, sent. n. 1224/15.

fonte: http://www.laleggepertutti.it

Balconi: infiltrazioni d’acqua dal terrazzo del vicino

Balconi: infiltrazioni d’acqua dal terrazzo del vicino
Quando si parla di infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo del vicino del piano di sopra, il risarcimento segue una regola diversa a seconda che si tratti di:
– balconi aggettanti: quelli, cioè, che costituiscono un prolungamento dell’appartamento e che danno sulla facciata dell’immobile, sotto i quali non v’è altro o magari il balcone aggettante di un altro condomino
– terrazzo a livello: quello sotto il quale vi è l’appartamento del vicino, cui funge da copertura (v. foto).
Nel primo caso, a pagare il risarcimento è il proprietario dell’appartamento. E questo perché il balcone aggettante è considerato come un prolungamento della proprietà del titolare dell’appartamento.
Diverso è il caso del terrazzo a livello. Secondo una consolidata giurisprudenza, la terrazza a livello è equiparata al lastrico solare se funge da copertura dell’appartamento sottostante. In questo senso, la Cassazione [1] ha puntualizzato che in base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dal codice civile [2], il proprietario esclusivo del lastrico solare (cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
Sussiste, dunque, l’obbligo per il proprietario del piano di sotto di sopportare le spese di manutenzione e ricostruzione della terrazza soprastante. Il codice civile [2] stabilisce infatti che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condòmini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condòmini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
[1] Cass. sent. n. 5125/1993.
[2] Art. 1126 cod. civ.

Vendita casa – oneri condominiali

Quando si acquista una casa, forte è il timore che il venditore abbia lasciato arretrati non pagati con il condominio e che, pertanto, un giorno possa bussare alla porta l’amministratore con una bolletta stratosferica. La legge però tutela l’acquirente, stabilendo regole ben precise in merito alla responsabilità sulle obbligazioni condominiali rimaste “in sospeso” prima del rogito notarile: regole che – è bene sottolineare – non possono essere derogate dalle parti. Il che significa che se anche l’atto di vendita contiene clausole di tenore differente (stabilendo, per esempio, che a sostenere tutti gli oneri condominiali sia il venditore o l’acquirente) esse avranno effetto solo come accordo personale tra le parti, ma non saranno vincolanti per il condominio. È quanto confermato dal Tribunale di Milano con una recente sentenza [1]. Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa stabilisce la legge.
 
Il codice civile [2] prevede che gli oneri condominiali non ancora pagati dal venditore al momento della vendita vadano così ripartiti:
 
– delle spese relative all’anno in corso del rogito e a quello precedente, ne rispondono in solido sia il venditore che l’acquirente. Per esempio: se nel marzo 2015 viene venduto l’appartamento, sia il nuovo che il vecchio proprietario rispondono di tutti gli oneri condominiali relativi all’anno della vendita (2015) che a quello anteriore (2014);
 
– delle spese precedenti all’anno anteriore alla vendita (nell’esempio di prima, dal 2013 a ritroso), ne risponde solo il venditore. Nei suoi confronti, quindi, l’amministratore può chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo. In questo caso, però, non essendo il debitore più condomino a tutti gli effetti, il decreto ingiuntivo non potrà essere provvisoriamente esecutivo [1]. La richiesta di pagamento, quindi, presentata dal condominio al nuovo proprietario sarebbe illegittima per difetto di legittimazione passiva.
 
Per le restanti spese successive all’anno del rogito notarile (nell’esempio di poc’anzi, dal 2016 in poi) ne risponderà in via esclusiva solo l’acquirente.
 
In buona sostanza, il venditore non può lavarsi le mani degli importi di cui è moroso: solo per quelli relativi all’anno di vendita e a quello precedente il condominio potrà indifferentemente agire nei suoi confronti o del nuovo proprietario, ma per quelle anteriori a tale periodo non è che lui il solo responsabile, anche in presenza di patti contrari con l’acquirente.
 
Attenzione: per stabilire, con precisione, a quale anno competano le spese richieste dall’amministratore non si deve guardare il momento in cui la spesa viene deliberata dall’assemblea (che potrebbe risalire a molto tempo prima), ma al momento in cui è stato erogato il servizio o eseguito l’intervento comune a cui la spesa fa capo l’obbligo di pagare le spese condominiali.
 
Questo significa che il venditore è tenuto comunque a sopportare le spese riguardanti opere straordinarie e innovazioni deliberate dall’assemblea prima della vendita dell’immobile, anche se eseguite successivamente.
Dall’altro lato, l’amministratore di condominio può richiedere all’acquirente, nuovo proprietario, le spese ordinarie sopportate per la manutenzione e la conservazione dell’edificio e per l’erogazione dei normali servizi comuni, sebbene deliberate dall’assemblea prima della compravendita.
 
 
 
 

Tribunale di Milano, sez. XIII Civile, sentenza 2 marzo 2015
Giudice Spinnler

Motivi in fatto ed in diritto della decisione

II – Milano ed il condominio di via hanno proposto appello avverso la sentenza n. 109.596/2012, con la quale il Giudice di Pace di Milano accoglieva le opposizioni proposte da P.L. e per l’effetto annullava i decreti ingiuntivi n. 2991712010 e 2688/2010, respingeva la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente e quella diretta alla condanna per lite temeraria e poneva le spese di lite a carico degli opposti. Hanno proposto le domande di cui all’atto di appello qui da intendersi richiamate per motivi di sintesi. L’appellato si è costituito in giudizio sollevando, in via preliminare, eccezione di inammissibilità dell’appello e difendendo, nel merito, la sentenza gravata, chiedendone, in principalità, la conferma, in subordine, previa ammissione di C.T.U. diretta alla determinazione delle spese dovute dall’appellato, la deduzione della somma di euro 750,00, corrispondente al credito risarcitorio spettante al P. nei confronti del condominio, e l’annullamento del decreto n. 26688/2010, in via istruttoria che proposto ordine di esibizione ai danni dell’assicurazione Aviva Italia s.p.a. . Omessa ogni attività istruttoria, all’udienza del 2.12.2014 i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni ed il giudice ha trattenuto la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
1 – In via preliminare ha eccepito l’appellato l’inammissibilità dell’appello per carenza dei requisiti richiesti dall’ars. 342 c.p.c. nel testo novellato dalla L. 13412012
Più precisamente , assume l’appellato che gli appellanti avrebbero omesso l’esposizione dei fatti, non avrebbero indicato i motivi specifici che sostengo l’appello con preciso riferimento alle parti del provvedimento gravato e non avrebbe esplicitato le modifiche richieste alla sentenza gravata con riferimento sia all’iter argomentativo che al decisum.
L’eccezione è infondata e va disattesa.
I fatti di cui è causa sono stati esposti nella pagine da 1 a 3 dell’atto di appello, mediante una ricostruzione dei giudizio di primo grado, con richiamo indiretto a tutti i fatti già dedotti in tale grado del giudizio ed oggetto di puntuale riepilogo da parte del primo giudice. Del resto poiché la motivazione dell’appello e con essa l’allegazione dei fatti è funzionale ai motivi di gravame ed alla diversa ricostruzione offerta dall’appellante, le circostanze di fatto relative alla modalità ed ai tempi di approvazione dei consuntivi di gestione da parte del condominio e gli ulteriori fatti di cui dà conto l’appellato nella comparsa di risposta non sono rilevanti nel presente atto di appello, posto che gli appellanti non contestano le circostanze di fatto poste a sostegno della decisione, bensì la ricostruzione in diritto operata dal primo giudice.
L’atto di appello è esaustivo anche con riferimento all’indicazione delle parti della sentenza impugnate, relativamente tanto alla parte motiva che alle conclusioni, e contiene il puntuale richiamo delle norme violate ed alla loro rilevanza ai imi della pronuncia.
2 – Con riferimento ai punti 1 e 2 del dispositivo della sentenza, di cui gli appellanti hanno chiesto l’integrale riforma, hanno dedotto un vizio di motivazione per omessa pronuncia, ìn violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., per avere il primo giudice revocato i decreti ingiuntivi opposti sul rilievo del difetto di legittimazione passiva del P., omettendo di motivare tale conclusione e di valutare la fondatezza della domanda di merito con specifico riferimento alla pretesa creditoria avanzata dal supercondominio e dal condominio nei confronti dell’appellato. Il motivo è fondato.
Il Giudice di Pace ha annullato i decreti ingiuntivi opposti sull’affermazione che il        leve considerarsi ” soggetto terzo rispetto ai condomini delle assemblee successive alla vendita
dell’appartamento ai Sig. ri        “, ha inoltre disatteso la pretesa creditoria, affermando ” i crediti ingiunti fatti valere in via monitoria, anche se esistenti, mancano dei requisiti di liquidità, certezza, determinazione, esatta documentazione e riferibilità “.
A -. In punto legittimazione passiva dell’appellato sì osserva quanto segue.
Il credito portato dai decreti ingiuntivi opposti è relativo a spese condominiali riferite al periodo in cui l’appellato era proprietario dell’appartamento successivamente venduto ai sig.ri         e ma che sono state oggetto di approvazione da parte dell’assemblea condominiale in data successiva all’alienazione dell’immobile. Infatti, l’appellato ha venduto l’immobile il 13.11.2007, le spese condominiali oggetto di causa sono relative ai consuntivi 2006/2007 e 200712008 , oggetto di approvazione, rispettivamente, da parte dell’assemblea del condominio di via Mar Nera n. 15 in data
9.1.2008 e da parte dell’assemblea del Supercondominio n data 9.10.2008. Certamente, non essendo l’appellato condomino al momento dell’emissione dei decreti ingiuntivi opposti, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 63 comma 1° disp. Att. c.c., con la conseguenza che il condominio non poteva chiedere ed ottenere nei suoi confronti un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (Cass. 23345/2008 ).
Tale principio di diritto ha fondato la decisione del primo giudice di annullamento dei decreti ingiuntivi opposti per difetto di legittimazione passiva.
Tuttavia, poiché l’oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è costituito solo dalla verifica dell’ammissibilità e della validità dei procedimento monitorio ma anche dell’accertamento della fondatezza della domanda di merito introdotta con il decreto ingiuntivo opposto, occorre verificare se nei confronti del condominio e del supercondominio il condomino alienante debba rispondere dei contributi condominiali maturati quando egli era proprietario, sebbene approvati in data successiva alla vendita dell’immobile.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, avendo l’obbligazione relativa al pagamento delle spese condominiali natura di obbligatio propter rem, soggetto passivo di tale obbligazione è il proprietario dell’immobile nel momento in cui il servizio o l’intervento comune cui la spesa si riferisce viene usufruito o posto in essere, con indipendenza dal momento in cui la spesa viene deliberata dall’assemblea, posto che l’obbligo del singolo di contribuire alla spesa deriva dalla legge, in forza della titolarità della quota millesimale ( art.. 1123 c.c. ) e non dalla delibera assembleare, che non ha valore costitutivo ma semplicemente dichiarativo, operando semplicemente la quantificazione e la ripartizione delle spese sulla base delle tabelle millesimali (cfr Cass. 4393/1997; Cass. 6323/2003 ) Ne deriva che, contrariamente alle conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure, l’appellato, per quanto non più condomino al momento dell’emissione dei decreti ingiuntivi opposti, è legittimato passivamente alle pretese creditorie avanzata dei condomini appellanti, trattandosi pacificamente di spese relative a servizi prestati durante il periodo in qui era proprietario dell’immobile, per quanto approvate con delibera successiva.
B – Quanto alla fondatezza della pretesa creditoria, valgono le seguenti considerazioni.
L’affermazione del primo giudice circa la carenza del credito dei requisiti di liquidità, certezza, determinazione, esatta documentazione e riferibilità , oltre che priva di motivazione, risulta destituita di fondamento.
i crediti del condominio e del supercondominio azionati con i decreti ingiuntivi opposti risultano provati con la produzione delle delibera assembleari di approvazione dei consuntivi di gestione 2006/2007 e 2007/2008 (cfr delibere del 9.1.2008 del- condominio e del 9.10.2008 del supercondominio ) con relativa ripartizione millesimale delle spese. Le anzidette delibere, non essendo state oggetto di impugnazione, sono diventate definitive.
La circostanza che l’appellato non abbia potuto partecipare alle assemblee nella quali vennero approvati i predetti consuntivi di gestione, non essendo più condomino a seguito della vendita dell’appartamento, non incide sull’obbligo di corrispondere le spese in parola rispettivamente al supercondominio ( D.II n. 29991712010) ed al condominio ( D.II n. 26688/2010 ), per quanto sopra
esposto circa il momento di insorgenza dell’obbligo di pagamento delle spese condominiali e gli effett della delibera assembleare di approvazione delle stesse.
Parimenti priva di rilievo, in assenza di tempestiva impugnativa della delibera assembleare da parte degli aventi causa dell’appellato , appare la contestazione relativa alla mancata convocazione di questi ultimi all’assemblea condominiale.
L’appellato ha difeso la sentenza gravata affermando la carenza di prova nel quantum della pretesa creditoria.
In particolare ha eccepito che l’assemblea dei 9.10.2008 non avrebbe approvato lo stato di ripartizione delle spese e che i rendiconti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo non sarebbero stati approvati dall’assemblea condominiale ma rielaborati dall’amministratore.
La seconda contestazione non è stata in alcun modo dimostrata e contrasta con quanto risulta dal verbale dell’assemblea del 9.10.2008. Peraltro, dallo stesso verbale emerge, quanto ai conteggi, che dovendo l’amministratore chiudere due esercizi – 2006/2007 e 2007/2008 – sono stati accorpati ì saldi relativi a ciascun condomino in un unico saldo finale ( cfr doc. 1 del condominio ). La prima contestazione è invece tardiva e, come tale, inammissibile, essendo stata sollevata solo con la comparsa conclusionale depositata all’esito del giudizio d’appello. Peraltro, è indubbio che tali riparti siano stata approvati dall’assemblea, essendo stati oggetto di approvazione con riferimento ai punti 2° e 3° dell’ordine del giorno aventi ad oggetto appunto l’approvazione dei bilanci consuntivi 2006/2007 e 2007/2008 e relativi stati di riparto, come del resto riconosciuto dallo stesso appellato già con l’atto di citazione in opposizione, laddove si è limitato a contestarne il valore probatorio per avere gli opposti allegato documenti asseritamente redatti ex post dall’amministratore, diversi da quelli oggetto di approvazione assembleare. Ha contestato l’appellato che gli acquirenti Oliva e Brancaccio avrebbero versato per spese di gestione relative all’esercizio 2006/2007 la somma di euro 1.586,66 e che l’amministratore avrebbe concesso loro un credito di euro 640,30.
La prima eccezione è priva di rilevanza posto che tale somma è stata dedotta dal supercondominio dal credito azionato con il decreto ingiuntivo n. 29917/2010, come si evince dai conteggi esposti nel ricorso stesso; la seconda non risulta in alcun modo dimostrata.
Assume l’appellato che il piano di riparto del consuntivo 2007/2008 contiene un addebito per spese personali per la gestione del condominio dell’importo di euro 585.75 non dovute. Tale voce di spese è stata approvata dall’assemblea del 9.10.2008, che non è stata impugnata. L’eccezione di nullità della delibera è stata sollevata tardivamente in appello .
Del resto non avendo l’appellato, tramite i suoi aventi causa impugnato l’anzidetta delibera, non vi è motivo per negare la fondatezza del credito in esame.
In conclusione, deve ritenersi che il credito azionato con i decreti ingiuntivi opposti sia stato compiutamente dimostrato deve pertanto censurarsi la contraria statuizione espressa dal primo giudice. Pertanto, deve invece respingersi l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 268812010, risultando infondata l’eccezione di ne bis in idem con riferimento al credito portato dal decreto ingiuntivo 29917/2010, essendo stato espunto dal maggior credito portato datale ultimo decreto quello di euro 543,75 portato dal primo.
Il decreto ingiuntivo n. 2991712010, va invece revocato – posto che, come conosciuto dal supercondominio fin dal primo grado del giudizio e già prima in sede di emissione dei precetto di pagamento , il credito portato dal decreto ingiuntivo in esame contiene al proprio interno la somma di euro 543,75, richiesta dal condominio con il decreto ingiuntivo n. 2688/2010 – e deve disporsi la condanna dell’appellato al pagamento della somma di euro 1.691,13 (2.234,88- 543,75 ).
3 – La domanda riconvenzionale proposta dall’appellante in primo grado e diretta alla condanna del condominio di via Mar Nero n. 15 al pagamento della somma di euro 750,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti, salva eventuale compensazione con i crediti dell’ente gestorio, è stata respinta dal giudice di prime cure.
Sul punto non è stata proposto appello incidentale da parte dell’appellato, che avrebbe dovuto farlo costituendosi in giudizio nel termine di cui agli artt. 343 e 166 c.p.c., mentre si è costituito in prima udienza.
Pertanto, essendo la relativa statuizione passata in giudicato, è inammissibile la domanda proposta in via subordinata dall’appellato, così come le richieste proposte in via istruttoria e strumentali alla domanda in esame.
4 – II primo giudice, in applicazione del principio della soccombenza, ha condannato gli odierni appellanti alla rifusione delle spese del grado.
Il capo della sentenza relativo alla liquidazione delle spese processuali è stato oggetto di appello in ragione dei carattere eccessivo della somma liquidata a titolo di spese ( ero 2.257,00, oltre IVA e CPA ) in rapporto con il valore del giudizio.
La doglianza risulta superata dall’accoglimento dell’appello, che, determinando la soccombenza dell’appellato in primo grado, comporta la revoca della statuizione di condanna degli appellanti al pagamento delle spese relative a tale grado di giudizio.
In applicazione del principio della soccombenza l’appellato va condannato alla rifusione delle spese del doppio grado del processo.

P.Q.M.

Il Tribunale, in funzione di giudice unico, definitivamente decidendo, in riforma della sentenza n. 10959612012 resa dal Giudice di Pace di Milano in data 11.5128.6.2012, così provvede:
revoca il decreto ingiuntivo n. 29917/2010 e condanna l’appellato a pagare all’appellante
Supercondominio di via    la somma di euro 1.691,13, oltre interessi dalla mora al saldo;
respinge l’opposizione proposta da _    avverso il decreto ingiuntivo n. 2688/2010, che conferma;
dichiara inammissibile la domanda subordinata proposte dall’appellato;
condanna l’appellato a rifondere agli appellanti le spese relative al primo grado del giudizio, che liquida in euro 1.150,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario per spese generali ed agli accessori di legge , e quelle relative al presente grado, che liquida in 2.300,00 per compensi ed euro 205,50 per spese, oltre al rimborso forfettario per spese generali ed agli accessori di legge.

[1] Trib. Milano sent. n. 1240 del 20.03.2015.
[2] Art. 63 co. 4, disp. att. cod. civ.
fonte:http://www.laleggepertutti.it/85833_vendita-casa-chi-paga-gli-arretrati-col-condominio

B&B in appartamento condominiale

L’attività di bed and breakfast e affittacamere non determina un mutamento della destinazione d’uso degli immobili utilizzati come “civile abitazione” e non implica conseguenze dannose per gli altri inquilini.
 L’apertura di un bed and breakfast o l’avvio di una attività di affittacamere in condominio – se espressamente vietate dal regolamento condominiale – potevano avvenire, fino all’anno scorso, solo previa approvazione dell’assemblea condominiale.
La Corte di Cassazione [1] ha invece ritenuto che il regolamento condominiale non possa costituire un freno all’apertura di attività di bed and breakfast in appartamento. In particolare, afferma la Corte, che l’attività di bed & breakfast o di affittacamere:
non comporta un cambio di destinazione d’uso dell’appartamento, che viene sempre utilizzato per scopi abitativi: per dormire e fare colazione, a prescindere dal numero di persone che vi soggiornano;
non comporta conseguenze pregiudizievoli per gli altri condomini, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per l’utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell’attività di bed and breakfast e che è interesse di chi gestisce l’attività di b&b o affittacamere far sì che l’appartamento ed il condominio siano sempre in condizioni igieniche, estetiche e funzionali eccellenti.
Inoltre, a livello comunale e regionale, sono stati emanati regolamenti che disciplinano dettagliatamente queste attività, ritenendole lecite e consentendole proprio negli appartamenti adibiti a civile abitazione. Di conseguenza, ciascun condomino sarà libero di affittare a ore o a giorni il proprio appartamento o una o più camere e, fino a prova contraria, tutto ciò non comporterà alcuna forma di danno per gli altri inquilini.
[1] Cass. sent. n. 24707 del 20.11.2014.

Fonte : http://www.laleggepertutti.it/81178_si-al-bb-in-appartamento-condominiale#sthash.h2liJpJI.dpuf

Slitta l'adeguamento per il "nuovo libretto"

Impianti termici, il libretto è diventato unico: non si distingue più in “centrale” ed “impianto”.
Con il decreto mille proroghe, approvato negli scorsi giorni dalle Camere, è slittato, ancora una volta, il termine per l’adeguamento dei libretti relativi agli impianti di riscaldamento e condizionatori. In pratica, per tutti gli impianti termici presenti nelle civili abitazioni, è stato prorogato al 31.12.2015 il termine per l’integrazione del libretto di centrale. Ricordiamo che, per effetto delle recenti modifiche legislative, il libretto d’impianto e i rapporti di controllo per l’efficienza energetica sono diventati obbligatori per tutte le tipologie d’impianto (non solo, quindi i riscaldamenti tradizionali) compresi i condizionatori. In particolare, tutti gli impianti termici per la climatizzazione (invernale ed estiva) e per la produzione di acqua calda sanitaria dovranno essere, dal 1° gennaio 2016, muniti del nuovo libretto di impianto, compilato secondo il modello predisposto dal ministero dello Sviluppo Economico. Ricordiamo che il libretto è una sorta di carta d’identità dell’impianto: ne registra tutta la vita dalla prima accensione fino alla demolizione, includendo le modifiche, sostituzioni di apparecchi e componenti, interventi di manutenzione e di controllo, valori di rendimento nel corso della vita utile, cambi di proprietà.
Cosa cambia dal 2016 Il modello che entrerà in vigore dal prossimo anno non si distinguerà più un due tipologie di moduli (uno riferito alle centrali termiche e l’altro al singolo impianto autonomo), ma su un modulo unico, personalizzabile, costituito da tante schede, usate e assemblate in funzione delle componenti dell’impianto. In pratica, gli attuali “Libretti di Centrale e di Impianto” (per impianti termici sopra e sotto i 35kW) dovranno essere sostituiti da un unico “Libretto per la climatizzazione” ove sarà possibile indicare, per esempio, la presenza sia dell’impianto termico (di qualsiasi potenza) che dell’impianto di climatizzazione estiva. Per gli impianti esistenti sino all’ingresso del nuovo libretto, i “Libretti di centrale” ed i “Libretti di impianto”, già compilati in precedenza, dovranno essere allegati al nuovo “Libretto per la climatizzazione”. La prima compilazione sarà fatta dall’installatore all’atto del montaggio dell’impianto e della sua messa in funzione. In seguito dovrà essere aggiornato dal responsabile dell’impianto (cioè il singolo cittadino o, in condominio, dall’amministratore o da una ditta terza da questi delegato) o dal manutentore.
– Fonte  at: http://www.laleggepertutti.it/80278_caldaie-slitta-lintegrazione-del-libretto#sthash.ZxOrsStP.dpuf

Certificazione unica 2015 – entro 07 marzo 2015

 ATTENZIONE: CERTIFICAZIONE UNICA 2015 – ENTRO IL 7 MARZO

A partire dal 2015 per il periodo d’imposta 2014, i sostituti d’imposta dovranno trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate, entro il 7 marzo, le certificazioni relative ai redditi di lavoro dipendente, ai redditi di lavoro autonomo e ai redditi diversi, già rilasciate entro il 28 febbraio. Il flusso telematico da inviare all’Agenzia si compone: • Frontespizio nel quale vengono riportate le informazioni relative al tipo di comunicazione, ai dati del sostituto, ai dati relativi al rappresentante firmatario della comunicazione, alla firma della comunicazione e all’impegno alla presentazione telematica; • Quadro CT nel quale vengono riportate le informazioni riguardanti la ricezione in via telematica dei dati relativi ai mod.730-4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate; • Certificazione Unica 2015 nella quale vengono riportati i dati fiscali e previdenziali relativi alle certificazioni lavoro dipendente, assimilati e assistenza fiscale e alle certificazioni lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. Si precisa che tutte le certificazioni uniche rilasciate dai sostituti d’imposta devono essere inviate all’Agenzia delle Entrate, anche qualora attestassero tipologie reddituali per le quali il dettato normativo non ne ha previsto la predisposizione per la dichiarazione dei redditi precompilata. I modelli e le relative istruzioni sono prelevabili gratuitamente dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it oppure da quello del Ministero dell’Economia e delle Finanze www.finanze.gov.it. È data facoltà ai sostituti d’imposta di suddividere il flusso telematico inviando, oltre il frontespizio ed eventualmente il quadro CT, le certificazioni dati lavoro dipendente ed assimilati separatamente dalle certificazioni dati lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi
Agenzia delle Entrate

Il nuovo CU2015. Responsabilità fiscali del condominio e compenso dell’amministratore.

Rosario Dolce – Ivan Meo 
La novità. Una delle principali novità del CU 2015 riguarda i destinatari dell’adempimento. Il nuovo CU dovrà essere inviato, entro date scadenze, non solo ai lavoratori dipendenti ma anche ai lavoratori autonomi, cioè ai professionisti, percettori di provvigioni da parte del “sostituto d’imposta”, nel corso dell’anno, con applicazione di ritenuta d’acconto alla fonte.
L’amministratore di condominio – o meglio il Condominio degli edifici – dovrà, dunque, eseguire un nuovo e diverso adempimento di carattere fiscale, rispetto quello “informale” finora svolto.
Non sarà più necessario certificare i compensi erogati ai lavoratori autonomi con comunicazione “informale”;d’ora in avanti, occorrerà inoltrare ai suddetti professionisti il nuovo modello CU, analogamente a quanto fatto, allo stato, con i lavoratori dipendenti.
L’innovativo regime, peraltro, trova applicazione anche per le erogazioni di danaro corrisposte alle imprese appaltatrici, previa applicazione di ritenuta alla fonte pari al 4%.
In caso di omesso invio. Ancorché non siano state previste delle sanzioni in capo al “sostituto d’imposta”in caso di omesso invio della nuova CU ai contribuenti di riferimento; ben differentemente,il legislatore ha invece disposto l’applicazione di una sanzione pecuniaria – alquanto“generosa” -nel caso di errori nella compilazione e nell’invio all’Agenzia delle Entrate, secondo la tempistica ivi prevista.
Le sanzioni. L’articolo 2 del decreto legislativo 175/2014 intitolato “Trasmissione all’Agenzia delle entrate” ha precisato che “… Le certificazioni di cui al comma 6-ter sono trasmesse in via telematica all’Agenzia delle entrate entro il 7 marzo dell’anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti. Per ogni certificazione omessa, tardiva o errata si applica la sanzione di cento euro in deroga a quanto previsto dall’articolo 12, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Nei casi di errata trasmissione della certificazione, la sanzione non si applica se la trasmissione della corretta certificazione è effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza indicata nel primo periodo ”.
Ciò vuol significare che il sostituto d’imposta e/o chi per esso (l’amministratore), al fine di evitare di incorrere nelle sanzioni previste dall’articolo 2 del decreto legislativo 175/2014, potrà correggere gli errori commessi nella trasmissione delle certificazioni uniche, inoltrando ex post una nuova certificazione corretta, purché ciò avvenga entro i cinque giorni successivi alla scadenza prevista (che, secondo l’Agenzia delle Entrate slitta al successivo lunedì 9 marzo”,risposta Telefisco del 29 gennaio 2015). In altri termini: per il nuovo CU2015 non è previsto l’istituto del ravvedimento operoso.
Una brutta notizia, quindi: il ravvedimento è bloccato per le omesse o ritardate presentazioni dei modelli di Certificazione Unica.
A chi va applicata la sanzione? Mutuando la normativa fiscale di riferimento, non sembrerebbero esservi dubbi che: in caso di errore nella comunicazione del CU2015 da parte dell’amministratore, a rispondere della sanzione saranno i condòmini, responsabili in solido avanti al Fisco.
L’art. 25-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, modificato dall’art. 1, comma 43, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria2007),individua il soggetto obbligato ad operare la ritenuta in esame nel “condominio quale sostituto di imposta” (espressione a suo tempo inserita nell’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973,dall’art. 21 comma 11, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, per attrarre detta figura nel novero dei sostituti di imposta).
Pertanto, anche con riferimento all’adempimento dei nuovi obblighisi confermano i chiarimenti già forniti con la circolare del Ministero delle finanze n. 204/E del 6 novembre 2000.
In buona sostanza, deve ritenersi che il soggetto obbligato ad effettuare la ritenuta d’acconto e gli adempimenti conseguenti “è il condominio in quanto tale“, anche se “il soggetto normalmente incaricato dal condominio a porre in essere gli adempimenti correlati alle funzioni di sostituto di imposta sia l’amministratore“,laddove nominato per obbligo (condominio con più di quattro condomini: Oggi otto; ndr) nell’esercizio di una facoltà (condominio con non più di quattro/otto condomini) [cfr, Circolare n. 7/E del 7 febbraio 2007] Il compenso professionale con il nuovo adempimento. Occorrerà, pertanto, prestare massima attenzione all’invio della nuova CU 2015 da parte di ogni amministratore di condominio, specie ove questi abbia in gestione più stabili.
Il nuovo adempimento fiscale genererà nuova responsabilità professionale in capo l’amministratore, seppure mediata dal Condominio e/o dalla solidarietà sussistente tra i condòmini – non sembrerebbe però in grado di incidere nella misura del rispettivo compenso pecuniario, a suo tempo convenuto.
Va, infatti, ribadito che in tema di condominio, l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali – tra cui vanno annoverate anche le incombenze fiscali, quale quella in disamina – deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte (Cass. n. 3596/2003; n. 122047210).
In altre parole, non opera, ai fini del riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera condominiale, la presunta onerosità del mandato allorché è stabilito un compenso forfettario a favore dell’amministratore a monte. Viceversa, spetterà all’assemblea condominiale il compito generale di valutare successivamente l’attività “ultronea” resa dall’amministratore, quant’anche l’opportunità di conferire allo stesso un compenso extra (Cass. Civ., 22313/2013).
Sotto tale e diverso aspetto, l’amministratore di condominio non può esigere neppure il rimborso di spese da lui anticipate non potendo il relativo credito considerarsi liquido ed esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea (Cass. n. 14197/2011).
L’articolo 1129, comma quattordicesimo, ha infatti cristallizzato il compenso dell’amministratore di condominio alla misura stabilitasi all’atto del conferimento dell’incarico.
Ciò non toglie però che in sede di conferma e/o di conferimento di un nuovo incarico,con riferimento alle nuove e complesse incombenze fiscali, l’amministratore di condomino possa chiedere il riconoscimento di un “extra”, ovvero domandare che lo svolgimento di tale attività (presentazione telematica del CU) venga esternalizzata ad un soggetto esterno, in grado di evadere l’incarico nell’interesse di tutti…

Fonte: http://www.condominioweb.com/certificazione-unica-risvolti-del-nuovo-adempimento.11612#ixzz3Qh4SP43j 
www.condominioweb.com

La contabilizzazione del calore consumato

La contabilizzazione del calore consumato da ogni unità immobiliare è ormai entrata nella cultura e nelle abitudini comuni.
Prevista ope legis da tempo, negli interventi di nuova edificazione, ed a colpi di decretazione regionale (con tanti avanti-indietro, proroghe, deroghe, sanzioni e chi più ne ha, ne metta) presto o tardi coinvolgerà tutti gli edifici.
È cosa senz’altro positiva, perché, associata alla possibilità di regolazione, contribuisce in maniera radicale alla responsabilizzazione e sensibilizzazione di tutti verso un bene comune, facendo leva sull’interesse economico del singolo. Non sempre sortisce gli effetti taumaturgici che le si attribuiscono, ma sicuramente evidenti, sì.
Come sempre insieme alle cose positive sono da considerare alcuni aspetti che, se non negativi, devono essere oggetto di attenta valutazione, specialmente quando la contabilizzazione viene effettuata su impianti “old-style” installati in edifici con isolamento termico ridotto o quasi nullo (cosa che avviene nella grande maggioranza degli edifici precedenti il 1976, anno della legge 373, antesignana della più celebre legge 10/1991).
In questi casi infatti, è prevedibile l’insorgere di contenziosi che possono derivare da problematiche non affrontate.
Ripartizione dei costi
Negli stabili condominiali in cui fino ad oggi la ripartizione dei costi di riscaldamento (sia per il combustibile sia per la manutenzione) è stata effettuata con l’ovvio criterio dei millesimi, si pone in problema di quanto debbano pagare i condomini con l’appartamento ai piani estremi (il più alto ed il più basso). Nelle nostre considerazioni tralasciamo pure le pur rilevanti incertezze della misurazione ed immagiamo che sia perfetta.
Gli appartamenti dell’ultimo piano, che sopra hanno aria esterna fredda, oppure un sottotetto non riscaldato, hanno superficie disperdenti costituite dalle pareti esterne e dal soffitto.
Quelli del piano terreno hanno superficie disperdenti costituite dalle pareti esterne e dal pavimento.
Gli altri piani hanno superfici disperdenti costituite dalle sole pareti esterne.
È ovvia la considerazione che in un ipotetico palazzo a pianta quadrata di 5 metri di lato gli appartamenti intermedi hanno superficie disperdente di 20×2.7=54 m2; l’appartamento più in alto, a quella superficie deve aggiungere 25 m2, come il piano terreno. A loro volta i due appartamenti estremi hanno diverso scambio termico con il resto del mondo: quello in alto, con aria esterna a temperatura invernale (a Milano, per esempio, -5 °C); quello al piano terra, con il terreno a 10÷15 °C.
La potenza scambiata con l’esterno è direttamente proporzionale alla superficie ed al salto termico fra interno ed esterno dell’abitazione: è quindi ovvio che gli appartamenti all’estremo siano sfavoriti e l’energia misurata dai loro contabilizzatori sia in parte al servizio dell’appartamento, come tutti, ed in parte al servizio del condominio.
Quanto si muta il regolamento condominiale in funzione dell’introduzione della contabilizzazione, occorre quindi prevedere un meccanismo che riconosca giusta ragione di ciò.
Sono in uso “comode” forfettizzazioni che indicano come ripartire i consumi degli ultimi piani. Tipicamente si utilizzano valori compresi fra 20 e 30 % del consumo totale come “condominiale” ed il resto come “pro capite”.
Queste forfettizzazioni sono fatte sulla base di un apparente buon senso, basato su assunti non necessariamente veri, come quello del piccolo esempio numerico di prima.
La tipologia di pareti, serramenti, solai e pavimenti, può cambiare radicalmente le prospettive, in bene o in male, causando storture applicative.
È invece opportuno che la quantificazione della quota “condominiale” sia calcolata attraverso un calcolo rigoroso, orami alla portata di tutti, dal quale si evinca, in funzione dei gradi giorno rilevati attualmente, quale è la quantità di calore che esce attraverso i tetti ed i solai e detrarre quella quota dai consumi degli appartamenti all’ultimo ed al primo piano.
Il meccanismo è pure relativamente semplice, ma assai più robusto del “lume di naso”, permettendo tra l’altro di tener conto delle differenze di temperatura fra un anno e l’altro.
Temperatura d’esercizio
Un problema simile e per certi versi più insidioso è l’apparente libertà di regolazione che i condòmini hanno. Installare regolazione e contabilizzazione autonoma consentono di regolare al meglio la temperatura degli appartamenti. Ma il condòmino è libero di tenere, per esempio, 10°C? Oppure, se l’appartamento è sfitto, può spegnere tour-court il riscaldamento?
La risposta è negativa per una serie di ragioni.
La prima è di rapporto con i vicini. Si dà, infatti, per sottinteso che tutti gli appartamenti siano eserciti a temperatura normale e che, di conseguenza, non ci sia scambio termico fra due appartamenti posti a piani diversi. Temperatura normale con la quale sono stati eserciti fino ad oggi sotto la regolazione condominiale.
Se, come esempio limite, un appartamento venisse tenuto a 0 °C, quello soprastante richiederà molta più energia (contabilizzata e pagata dal singolo) del normale, come se fosse l’appartamento dell’ultimo piano. Questo è un punto estremamente importante in assoluto, ma anche perché rischia di far nascere, aumentare ed esacerbare i rapporti di buon vicinato, tradizionalmente già tesi in un condominio.
C’è un’altra considerazione, tuttavia, da fare: gli edifici un po’ anziani –in particolare le loro pareti esterne- nacquero in un’epoca, prima della crisi energetica del 1973, in cui l’energia costava poco e quindi sono poco coibentati. Il sistema termodinamico vive quindi di uno strano equilibrio per il quale l’elevata quantità di calore che esce verso l’esterno tiene calde le pareti. Questo è un non voluto e costoso, ma efficiente, modo di evitare la formazione delle condense sui muri.
È evidente che tenere inutilmente alte le temperature per salvare dalla condensa è per certi versi assurdo. Ma si deve anche tenere in considerazione che un appartamento chiuso e freddo per lunghi periodi darà luogo a deterioramento esterno ed interno delle muratura, con conseguente danno per l’edificio, specialmente per gli appartamenti confinanti, che vedranno gli spigoli dei loro muri inusitatamente freddi e, quindi, con pericolo di condensa e danneggiamento.
Cosa fare, allora?
Nelle stesse more dell’adozione della contabilizzazione e regolazione per appartamento, occorre inserire una clausola obbligatoria in base alla quale gli appartamenti non possono essere eserciti a temperature inferiori ad un certo limite (p.es. 15 °C, come suggerito dalla norma UNI 10200:2013). Limiti che contemperino il diritto/dovere del risparmio d’energia di un singolo condomino, ma anche quelli degli altri condomini che non devono pagare più del dovuto e di tutto il condominio del quale si deve preservare correttamente la proprietà.
___________________________________
Si faccia comunque opportuno riferimento alla norma UNI 10200:2013 “Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale e produzione di acqua calda sanitaria Criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale ed acqua calda sanitaria”
DPR 74/201 “Art. 3. Valori massimi della temperatura ambiente 1. Durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione invernale, la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare, non deve superare: a) 18°C + 2°C di tolleranza per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili; b) 20°C + 2°C di tolleranza per tutti gli altri edifici.”
Se il salto termico è nullo, la potenza scambiata è pure nulla.